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SEMPRE L'ESERCITO E' CHIAMATO A TUTELARE L'ORDINE PUBBLICO
L’idea di impiegare l’esercito per funzioni di ordine pubblico ha
recentemente sollevato un coro di critiche. Ma in realtà si tratta di una
soluzione perfettamente normale. Già nell’antica Roma – ad esempio – per
battere il congiurato Catilina nel 62 avanti Cristo, fu per l’appunto
impiegato l’esercito. Il quale, qualche anno prima aveva riportato
l’ordine, contro il famoso gladiatore Spartaco (73 a.c.) e contro i pirati
(67 a.c.). Non si vede dunque quale sia la ragione dello scandalo di
fronte a prospettiva di impiegare l’esercito per problemi interni. Anche
perché, questo impiego è stato attuato più volte negli ultimi anni. E io,
personalmente, lo posso testimoniare, per un fatto accaduto quando "facevo
la naja". Circa trent’anni fa.
Brigata Alpina Tridenitina. Sesto Reggimento. Battaglione Trento.
Monguelfo. Provincia di Bolzano. A due passi dall’Austria. Alla fine di
settembre del 1970 venivamo svegliati di soprassalto. C’è ordine di
partire. Destinazione ignota. Ma bisogna fare presto. I vecchi camion
militari vengono caricati di alpini, con tutto il loro equipaggiamento. E
partono. Io, giovane sottotenente di complemento, comandante di plotone
assaltatori, sono su uno di quei camion. Velocità massima settanta
all’ora. Si scende verso il sud. Gli ordini giungono per radio. Ogni tanto
arriva una moto dei carabinieri a scortarci e a consegnare un plico al
comandante. E’ un vero mistero. Arriviamo finalmente all’Aquila. Non
ricordo più quante ore di viaggio. Tutte senza dormire. Alla fine veniamo
acquartierati a Fonte d’Amore, in una vecchia fabbrica. E attendiamo.
Ricordo una notte passata in bianco. Era circolata la voce che saremmo
andati in Libia. A combattere, naturalmente. Da poco tempo Gheddaffi aveva
confiscato i beni di tutti gli Italiani. E si diceva che noi saremmo
andati a riconquistare la Libia. Quanti pensieri assurdi quella notte!
Carri armati. Assalti alla baionetta. La mia lapide: "caduto a Tripoli il
10/10/1970". Ma – per fortuna - la Libia non c’entrava un bel niente.
Caricammo i camion sul treno e partimmo per la vera missione: fare la
guardia alla ferrovia nei pressi di Reggio Calabria. Dove infuriava la
rivolta. Quel campanilismo spinto che aveva portato a mettere tutta la
città a ferro e fuoco. Forse qualcuno ricorderà.
Il treno corre, con tutti i nostri camion, con la cucina da campo e
l’equipaggiamento. Arriviamo al litorale campano. Il montanaro della Val
Passiria Otto Oberkalmensteiner, ha gli occhi incantati. Le sue labbra
sussurrano. "Quanta cqua"! "Quanta acqua!" Non ha mai visto il mare. E di
fronte a lui c’è il Tirreno. Bellissimo, azzurro, luccicante. Arriviamo a
destinazione. Bagnara Calabra, posto stupendo e molto povero. E inizia il
nostro lavoro. Fare la guardia alla ferrovia. Sei ore di guardia lungo le
rotaie. Un alpino ogni cinquecento metri. E poi diciotto ore di riposo.
Così prosegue per circa un mese, fino al nostro ritorno, senza che
succedesse mai nulla.
Ed eccoci alla morale della storia. Come si vede, gli alpini, nel loro
piccolo, hanno fatto anche ordine pubblico. Naturalmente, senza contare
l’intervento fatto a Genova nei disordini del 1960, durante il governo
Tambroni. E, ovviamente, senza dimenticare le pattuglie al confine con
l’Austria, nel periodo caldo dei "moti" all’Alto Adige. Nel 1970 la
situazione era calma. Ma anch’io ne ho fatta qualcuna. Una pattuglia
armata, con al seguito un carabiniere, con compiti di "antiterrorismo".
Dunque, non ci sarebbe nulla di strano se qualche reparto fosse impiegato
a Milano a presidiare la via Padova o in qualsiasi altra località
italiana. In fondo, l’esercito, come è stato spedito a Reggio Calabria,
ben potrebbe presidiare la città degli Sforza. Come sempre, si tratta di
un problema di volontà politica e di obbiettivi. Gli alpini (finché non li
sopprimeranno), ci sono. E, naturalmente, ci sono anche i bersaglieri i
marò, i fanti, i paracadutisti, eccetera. Come diceva Napoleone Bonaparte,
"l’esercito è la nazione". E, pertanto, quando interviene la truppa, per
ragioni di ordine pubblico, – in fondo, in fondo - è proprio il popolo che
cura se stesso. (Pubblicato da Il Giornale il 15 Gennaio 2002)
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