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COMMENTI
IL “FACTORING” COME “EMPITIO REI SPERATAE” O COME “EMPTIO SPEI” di Amedeo Nigra
1. Ipotesi di lavoro. - 2. La vendita di beni futuri -3. Vendita di beni futuri come trasferimento del diritto al profitto. - 4. Il contratto di factoring. - 5. Il credito come bene futuro. - 6. Il factoring come “emptio spei” o “emptio rei speratae”. - 7 Vantaggi pratici.
1. Ipotesi di lavoro. Il contratto definito “emptio rei speratae” è uno dei più antichi della nostra esperienza giuridica. Vediamolo in breve, in relazione alla figura giuridica del “factoring” (1). Nell'antichità era diffusa una particolare forma di vendita. l cacciatore cedeva la selvaggina o comunque gli animali uccisi o catturati. Lo stesso faceva il pescatore o l'agricoltore con riferimento alla specifica attività da loro svolta. Il contratto era concluso prima che quella data attività di lavoro (caccia, pesca, coltivazione) fosse compiuta e, di conseguenza, il contratto aveva un contenuto di incertezza. Si sapeva che l'attività sarebbe stata compiuta e si sapeva anche che ragionevolmente vi sarebbe stato un dato risultato utile. Questo risultato non era peraltro certo. Nell'evenienza in cui non vi fosse stato risultato utile, il compratore non avrebbe dovuto pagare alcun prezzo. Al contrario, il corrispettivo avrebbe dovuto essere pagato solo in presenza dell'effettiva esistenza della cosa sperata. Simmetricamente a tale tipo di vendita ne fu prevista una seconda di carattere aleatorio. Questo secondo negozio venne definito “emptio spei”, ossia,cessione di alea, proprio perché la vendita sarebbe stata valida anche in assenza del risultato sperato. In pratica, il corrispettivo della vendita avrebbe dovuto essere pagato anche se la cosa non fosse venuta ad esistenza. Veniamo ora ai giorni nostri ed esaminiamo la logica degli affari. Può un dato imprenditore cedere verso corrispettivo tutto o parte del suo fatturato? Questa forma di cessione può essere definita e regolata come “emptio rei speratae” o come “emptio spei”? Esaminiamo di seguito questa ipotesi di lavoro nel tentativo di dare un contributo allo studio di questa materia. Come vedremo tra breve il contratto di factoring può essere assimilato a seconda dei casi, alla “emptio spei” o alla “emptio rei speratae”. Vediamo come.
2. La vendita di beni futuri. Secondo la dottrina più recente per beni futuri si deve intendere: 1) le cose che in genere non sono ancora in natura; 2) le cose già esistenti, non ancora occupate, ma suscettibili di occupazione; 3) i prodotti non ancora formati nella loro individualità economica; 4) i prodotti non ancora staccati dalla cosa madre; 5) le prestazioni ed i beni che comunque derivano in un tempo futuro. Ed invero, solo i beni presenti possono formare oggetto del diritto di proprietà. Pertanto per la categoria dei beni futuri questo diritto non è concepibile, non essendo concepibile un potere immediato su di una cosa che non esiste .Dei beni futuri si può peraltro disporre, perché questi beni possono formare oggetto di contratto ai sensi dell'art. 1348 c.c. ed, in particolare,potranno formare oggetto di donazione e di vendita, secondo le modalità stabilite dal legislatore agli art. 771 e 1472 c.c.. In pratica, pur non essendo esistenti, i beni futuri vengono considerati da parte dell'ordinamento giuridico come attuali e “disponibili”. In tema di beni futuri si rilevano non pochi problemi. In merito ai frutti, ad esempio, ci si chiede come avvenga la trasformazione del diritto di godimento sulla cosa madre in diritto di proprietà sui frutti che, prima del distacco, appartengono al proprietario (art. 820-821 c.c. 1472 c.c). Per dare una spiegazione a questo problema la dottrina normalmente ricorre alla figura della ficta traditio del proprietario, nei confronti dell'avente diritto al godimento sulla cosa madre. Senonchè questa figura risulta scarsamente convincente per il fatto che la figura richiamata Š, per sua stessa definizione, una finzione che non trova riscontro in nessuna norma di legge. Per spiegare il problema descritto sembra invece necessario far risalire l'acquisto dei frutti ad un diritto diverso tanto dal diritto di proprietà tanto dal diritto di godimento sulla cosa madre. Vediamo perché. Ed invero, il diritto sui frutti é in origine ricompreso nel diritto di proprietà, giacché il proprietario ai sensi dell'art. 832 c.c ha appunto il diritto di godere e di disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo. Il diritto ai frutti è peraltro distinto dal diritto di proprietà poiché il proprietario se ne può spogliare quando trasferisce ad altri il diritto di godimento, senza peraltro perdere questa sua qualità. E' infine distinto anche dal diritto di godimento perché il titolare di quest'ultimo diritto se ne può spogliare con un atto dispositivo previsto dall'art. 1348 c.c., senza a sua volta perdere la qualità di titolare del più ampio diritto di godimento. Orbene, anche in questo caso la fattispecie può essere spiegata solo ammettendo l'esistenza di un diritto soggettivo sui frutti. Non si spiegherebbe altrimenti la ragione giuridica della tutela risarcitoria accordata all'usufruttuario con riferimento a dei beni- i frutti appunto - che dal punto di vista giuridico, prima della loro maturazione si trovano nella sfera giuridica del proprietario, ossia di un soggetto totalmente diverso. Ugualmente, solo ammettendo l'esistenza di un diritto sui frutti si può spiegare come il proprietario ed il titolare del diritto di godimento possano trasferire ad altri questo bene senza rinunciare alla propria qualifica giuridica. Orbene, vista la disponibilità dei frutti e dei beni futuri e la loro tutela da parte della legge, si può giungere alla definizione di un diritto specifico. In pratica questo diritto può essere definito come “diritto al profitto”. E precisamente: “il diritto al profitto è il diritto di godere e di disporre, secondo un ordine oggettivo, dei beni futuri non ancora venuti ad esistenza e di ottenere dai terzi un comportamento di rispetto quanto ai beni medesimi”. Se si ammette l'esistenza di questo diritto si può dare una ulteriore spiegazione al tema dell'acquisto dei frutti. Questi,infatti,non fanno capo necessariamente al proprietario,m ma, a seconda dei casi, competeranno a chi risulta titolare del diritto al profitto su quel dato bene (proprietario, usufruttuario, conduttore, acquirente).
3. Vendita di beni futuri come trasferimento del diritto al profitto. La vendita di cose future è definita dall'art. 1472 c.c. secondo il quale “nella vendita che ha per oggetto una cosa futura l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza”. Sono state formulate diverse teorie volte a spiegare questo particolare problema. Vediamole in breve. La vendita di beni futuri è stata anzitutto definita come un negozio incompleto, in quanto privo di un suo elemento essenziale. Si è parlato anche di negozio con effetti sospesi o di negozio in attesa di un suo coelemento. Si è infine definito il contratto in parola come un negozio sottoposto a condizione legale. Secondo questo modo di vedere la vendita di beni futuri sarebbe una vendita obbligatoria in cui il trasferimento delle proprietà si verifica in un momento successivo rispetto alla stipula del contratto e dove, medio tempore, il compratore assume la veste di creditore. Questa stessa dottrina avverte peraltro come rimanga da chiarire se il successivo trasferimento sia effetto dell'adempimento dell'obbligazione o se sia invece ricollegabile ad un fatto oggettivo. Ed invero, l'acquisto del diritto di proprietà rimandato ad un momento futuro non appare un fatto di per sé idoneo a qualificare la vendita come “vendita futura” né come “vendita obbligatoria”, perché il trasferimento di un diritto di proprietà non è l'unico oggetto che si può dare al contratto di compravendita. Ai sensi dell'art. 1470 c.c., infatti, “la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”. Se pertanto, all'atto della stipulazione del contratto in parola relativamente ad una cosa futura, qualificato ad ogni effetto dalla legge come “vendita”, si rivela la mancanza del trasferimento immediato di un diritto di proprietà, questo potrà significare che ci si trova nella seconda ipotesi considerata dall'art. 1470 c.c.. Nel caso vi sarà pertanto il trasferimento di un diritto diverso dalla proprietà ed avente ad oggetto la cosa futura ed il potere giuridico su di essa. Quest'ordine di idee è stato in parte peraltro formulato. La giurisprudenza ha assegnato al compratore uno jus ad habendam rem. La giurisprudenza ha infatti individuato la necessità di qualificare la posizione giuridica del compratore come quella corrispondente ad un diritto soggettivo. Ha inoltre rinvenuto l'esigenza di riferirla alla cosa futura. Peraltro, non essendo questa ancora venuta ad esistenza, ha dovuto qualificare questa posizione giuridica in modo diverso dal diritto di proprietà e l'ha definita con la formula sopra ricordata e, cioè, come jus ad habendam rem. Ciò premesso, la vendita di beni futuri può apparire proprio come la cessione dello jus ad habendam rem. Da parte sua quest'ultimo diritto è appunto il diritto sul bene futuro ossia quel diritto che poc'anzi abbiamo chiamato diritto al profitto. Quando la cosa verrà ad esistenza prenderà contemporaneamente vita un diritto di proprietà, che si sostituirà al precedente diritto al profitto in capo al titolare di quest'ultimo diritto.
4. Il contratto di factoring. Nel factoring una parte (factor) acquista da un imprenditore un certo numero di crediti per un certo periodo di tempo. Normalmente, il tasso di commissione varia dallo 0,75 al 3% in relazione a numerosi elementi, quali il fatturato previsto, la ripartizione geografica del clienti, il numero e l'importo medio delle fatture, la durata delle dilazioni, la qualità dei crediti ceduti, il settore di attività economica dell'impresa, eccetera. Il “factor” si può riservare o no il diritto di accettare determinati crediti. Nel primo caso si assume anche il rischio dell'insolvenza del debitori ceduti (pro soluto), nel secondo caso la cessione è pro solvendo. La cessione avviene al valore nominale del credito, meno una commissione per l'attività (contabilizzazione, incasso, ecc.) ed il rischio del factor. L'accredito al cedente può avvenire in tempi diversi. Sulla struttura del contratto in questione vi sono essenzialmente quattro opinioni. Secondo alcuni si tratterebbe di una cessione (unica) di crediti futuri (con la conseguenza che i crediti al loro sorgere si trasferirebbero automaticamente al factor), secondo altri, di un contratto preliminare con il quale l'impresa si obbliga ad offrire al factor in cessione i crediti che sorgeranno, (il che richiederebbe poi il perfezionamento di tanti futuri contratti di cessione). Secondo altri ancora si tratterebbe di un contratto atipico, in cui intervengono diverse figure negoziali ed, infine, per altri autori, il factoring andrebbe inserito nei contratti di collaborazione. Vediamo ora se sia possibile qualificare il factoring come vendita di beni futuri (nelle due forme di “emptio spei” ed “emptio rei speratae”). In questa operazione risulta preliminare osservare la natura del credito in sé e per sé considerata, per poi passare alla qualificazione giuridica del negozio che svolge la funzione di trasferimento di tale entità.
5. Il credito come bene futuro. Ed invero, il credito rientra a pieno titolo nella categoria dei beni futuri. Si tratta infatti di una utilità che deriva all'uomo in un momento futuro rispetto al tempo in cui è considerata. Molte volte il concetto di credito, di bene futuro e di frutto sono anche coesistenti nella lettera del codice civile. I canoni delle locazioni e gli interessi sui capitali, ad esempio, sono un frutto per espressa definizione legislativa, se si considera il bene in sé e per sé (art. 821 c.c.) ed, al tempo stesso, sono anche un credito, se si prende in considerazione il contratto di locazione o il contratto di mutuo da cui traggono rispettivamente origine. Ciò premesso, si possono rilevare due diritti, tra loro ben distinti (anche se correlati) in capo al “credito” inteso come bene futuro. Da un lato esiste il diritto di credito, in sé e per sé considerato, (di natura relativa), come potere di esigere una data prestazione rispetto ad un determinato soggetto (detto debitore). Dall'altro lato, esiste invece il diritto al profitto, di natura assoluta, (che si è poc'anzi descritto) e che consiste nel potere di disposizione e di protezione di quel dato bene futuro, rispetto ai terzi (e cioè, nei confronti di ogni soggetto). Orbene in tema di factoring (e cioè nella definizione del contratto) si prende in considerazione il credito come bene futuro e la capacità di disporre nei confronti di ogni soggetto (terzo rispetto al rapporto obbligatorio). Il rapporto obbligatorio, da parte sua, costituisce invece un semplice antecedente al factoring e viene in considerazione (oltre che per casi patologici), solamente per un problema di efficacia del negozio di cessione nell'ambito del rapporto di natura relativa. D'altra parte, il “credito bene futuro” (cui fa capo un diritto assoluto) ed il credito come rapporto (cui fa capo un diritto relativo) risultano ben distinti, anche in base alle rispettive vicende giuridiche. Il bene futuro, infatti, può essere ceduto in sé, indipendentemente dalle vicende del rapporto (art. 1472 c.c.) ed in base ad una norma diversa da quella in cui si fonda il rapporto (art. 1348). Per convincersene basta considerare che il credito può essere validamente ceduto, persino quando il rapporto obbligatorio non sia stato ancora costituito. Una data azienda, ad esempio, può disporre la cessione del suo fatturato prima ancora di concludere materialmente i singoli contratti con i propri clienti. In conclusione, conviene sottolineare il fatto che la cessione del credito come bene in sé considerato è cosa ben distinta dalla cessione del rapporto. In questa sede (e cioè in tema di factoring) si esamina solo la prima delle due figure ossia il trasferimento del “credito bene futuro”.
6. Il factoring come “emptio spei” o “emptio rei speratae”. Posti in chiaro i rilievi che precedono, possiamo ora qualificare il contratto di “factoring” come negozio di vendita di beni futuri, di cui all'art. 1472 c.c.. A favore di questa tesi esistono due decisive ragioni. Vediamole in breve. Il primo rilievo riguarda l'oggetto del contratto. Nel factoring vengono ceduti beni futuri, non diversamente da quanto attiene nel negozio di cui all'articolo 1472 c.c.. Conseguentemente vi è una piena identità tra le due figure. Il secondo rilievo riguarda invece il potere giuridico che viene in considerazione. Con il contratto di factoring infatti non viene esercitato il diritto di credito in sé, ma piuttosto viene esercitato il potere di disposizione della prestazione futura. Il rapporto giuridico rimane invariato e viene semplicemente trasferito ad altri il bene futuro. Per avversare questa spiegazione si potrebbe obbiettare come nel factoring il trasferimento del credito possa avere natura continuativa, con riferimento ad un certo numero di rapporti creditori (in modo abituale o meno) o con riferimento ad uno o più determinati debitori. Senonché, il rilievo non pare decisivo per negare la qualificazione del factoring come contratto di vendita di beni futuri. Con esso si può definire in modo vario ed alterno la natura o l'entità dell'oggetto del negozio, ma non certo la sua struttura. Nulla vieta, infatti, che la vendita di beni futuri riguardi un singolo bene, oppure due o più beni. Nel caso resterà ferma la qualificazione strutturale del contratto, mentre l'autonomia varierà nel determinare l'ampiezza dell'oggetto. Altre volte si sostiene che il factoring si sostanzierebbe in un rapporto di collaborazione, più che in una cessione vera e propria. Senonché anche questo rilievo non pare decisivo. Anzi, tutti i contratti prevedono la collaborazione delle parti, ma questo non muta certo la loro radicale struttura. Nel nostro caso, si tratta di vedere da caso a caso se la collaborazione abbia natura prevalente oppure dia luogo ad un semplice “accessorio” alla cessione del credito. In base alle specifiche indagini condotte nel caso concreto, alla luce della volontà delle parti, si potrà dire se vi sia un negozio di cessione, oppure un contratto di collaborazione.
7. Vantaggi pratici. Il primo vantaggio che potrebbe derivare dalla qualificazione del factoring come negozio di cessione di beni futuri appare evidente. Con tale figura è possibile dare uno stato giuridico ed una disciplina al contratto di factoring. Qualora si accolga la conclusione in esame, infatti, si potrà assegnare al negozio in parola l'intera disciplina della vendita (1470 ss. c.c.). Non solo. L'inquadramento nell'ambito della vendita di beni futuri offre numerosi vantaggi. In particolare, l'articolo 1472 c.c. offre precise scelte ai contraenti. Vi è infatti la possibilità di concludere un contratto che resti valido solo se il bene venga effettivamente ad esistenza (emptio rei speratae) ed, al contrario, vi è la possibilità di concludere un contratto aleatorio, in cui il negozio mantenga valore anche nel caso in cui il bene (credito) manchi del tutto (emptio spei). Le due ipotesi corrispondono perfettamente ai due tipi di cessione del credito e, cioè, alla cessione “pro solvendo” in cui il cedente è liberato solo in caso di effettivo pagamento del debitore ceduto ed alla cessione “pro soluto” in cui, invece, il cessionario vi assume ogni rischio di insolvenza, liberando definitivamente il cedente. Anche il tema della efficacia del factoring nei confronti del debitore ceduto potrebbe avere una radicale modifica alla luce della disciplina della vendita ed in particolare della vendita su documenti (art. 1527 c.c.). Questa particolare disciplina prevede infatti che una parte si liberi dei propri obblighi rimettendo un titolo rappresentativo della merce (art. 1527 c.c.), titolo, ques'ultimo, che potrà circolare liberamente mediante girata secondo l'articolo 1792 c.c..
Peraltro, anche a prescindere dal ricorso o meno alla figura della vendita su documenti, i vantaggi della qualificazione del factoring non sono pochi e vanno dalla disciplina della garanzia per vizi della cosa venduta, fino alla compiuta descrizione degli obblighi delle parti. E questo pare un ulteriore argomento a favore della qualificazione del factoring come vendita di beni futuri.
(tratto dalla Rivista Italiana Leasing, 1990) |
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