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COMMENTI
LESIONE DEL CREDITO O
LESIONE DEL PROFITTO?
di Amedeo Nigra
Sommario: 1) Il quesito; 2) Il bene leso non è
il credito; 3) Credito e beni futuri; 4) Beni futuri e diritto sui beni
futuri; 5) Il diritto soggettivo sui beni futuri; 6) Conclusione; 7)
Alcune conseguenze pratiche e teoriche.
1) Il quesito.
Le questioni giuridiche riconnesse al tema della “lesione del credito”
hanno visto per molti anni e vedono tuttora un grande travaglio della
dottrina e della giurisprudenza italiana. Il problema giuridico si può
riassumere come segue. Premesso un atto lesivo portato nei confronti di
una posizione soggettiva definita di “credito”, da parte di un terzo
estraneo al rapporto giuridico obbligatorio, può il danneggiato agire per
il risarcimento del danno nei confronti del terzo responsabile? (1).
La dottrina e la giurisprudenza hanno sempre intuito che al problema
andava data risposta positiva. Il rigetto della domanda di risarcimento
del danno avanzata dal danneggiato, urtava (ed urta) contro il più
naturale senso di giustizia. Nello stesso tempo, peraltro, i giuristi
dovevano fare i conti con un’impostazione rigorosamente scientifica del
problema. Sotto questo profilo, infatti, vista la definizione della figura
legale del credito, da un lato, e della responsabilità civile, dall’altro
lato, la domanda di risarcimento del danno non poteva essere proposta nei
confronti di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio (2). Il
credito, infatti, non spiega i suoi effetti se non nei confronti delle
parti obbligate. La figura legale della responsabilità aquiliana, inoltre,
non ammette il risarcimento del danno se non nei confronti di un diritto
soggettivo di carattere assoluto (3).
Ciò premesso, agli studiosi ed ai pratici si poneva il dilemma seguente.
Da un lato, si prospettava la possibilità di ammettere il risarcimento del
danno portato dal terzo nei confronti del “credito”, ignorando o facendo
eccezione alla figura legale del credito stesso e della responsabilità
civile. Dall’altro lato, si prospettava invece l’ipotesi di modificare la
costruzione scientifica della responsabilità civile, al fine di consentire
il risarcimento del danno anche nei confronti della cosiddetta “lesione
del credito”, eseguita ad opera di soggetti estranei al rapporto giuridico
obbligatorio.
La dottrina e la giurisprudenza si sono progressivamente portate su questa
seconda soluzione. Hanno cioè modificato l’originaria concezione della
responsabilità civile, con l’intento di ammettere il risarcimento del
danno di cui si è detto sopra. Le massime giurisprudenziali si sono ormai
attestate sul principio per cui si ha illecito aquiliano nell’ipotesi in
cui si leda un diritto soggettivo tanto di natura assoluta, quanto di
natura relativa (4).
Questo sacrificio non è forse necessario. Il problema giuridico può
infatti essere capovolto se solo si muta l’angolo visuale da cui lo si
osserva. Infatti spostando l’attenzione dalla figura del credito, si
possono formulare alcuni interessanti quesiti. In particolare la figura
del credito è l’unica che viene in considerazione nell’ambito della
fattispecie in esame? Non esistono altre entità giuridiche od altri
rapporti o beni che coincidono con il credito senza identificarsi con
esso? (5).
A questa domanda può essere data risposta affermativa. Accanto al credito
si può infatti disegnare un diverso diritto che molto spesso si accompagna
al credito stesso senza identificarsi con esso. Questa posizione
soggettiva presenta aspetti originali ed interessanti dal punto di vista
scientifico e può essere definita come “diritto soggettivo sui beni
futuri” (6).
Esaminiamo nelle pagine che seguono la questione della “lesione del
credito” alla luce della nuova figura soggettiva di cui si è detto, nel
tentativo di dare un contributo alla soluzione del problema.
2) Il bene leso non è il credito.
La questione giuridica in esame è stata classificata dagli studiosi e dai
pratici come “lesione del credito”. Preliminarmente si tratta di vedere
quale sia l’esatto significato di questa definizione. Cosa si intende con
l’espressione “lesione del credito”? Qual è il bene giuridico che subisce
un’alterazione patrimoniale? Cosa si intende per “credito”? Ci si intende
riferire all’aspetto formale e quindi al vincolo obbligatorio che fa capo
al credito o, piuttosto, ci si intende riferire semplicemente al contenuto
patrimoniale che si riconnette alla figura legale del credito stesso?
L’esame della dottrina e della giurisprudenza sull’argomento non consente
di risolvere il quesito sopra formulato. Anzi, un attento esame delle
varie fattispecie che vengono in considerazione, porta a concludere che
nel caso di specie il bene leso sia diverso e solo parzialmente
coincidente con il credito (7). Vediamo perché.
Iniziamo a trattare la questione partendo dalla materia dove la
giurisprudenza ha fatto le prime e più ampie concessioni. Trattiamo quindi
il tema del risarcimento del danno riconosciuto ai familiari in seguito
alla scomparsa di un congiunto a causa di un fatto illecito di un terzo
responsabile (8). La giurisprudenza ammette costantemente in questa
materia il risarcimento del danno conseguente alla perdita degli alimenti
che lo scomparso era solito prestare alla sua famiglia (9). Orbene, quali
sono le motivazioni giuridiche adottate dai giudici in questa materia? Per
quale motivo viene concesso il risarcimento del danno nel caso in esame?
Ed invero, la dottrina e la giurisprudenza riconducono il tema degli
alimenti dati da un familiare ai suoi congiunti al più vasto tema del
credito. Si sostiene infatti che la prestazione alimentare viene
effettuata in base ad un’obbligazione sancita dagli articoli 433 e
seguenti del codice civile (10).
Questa teoria presta però il fianco a non poche critiche. Ed invero,
nell’ipotesi in cui lo scomparso non era solito fornire alcuna prestazione
alimentare ai suoi familiari (per i più svariati motivi) vi è sì
astrattamente una “lesione del credito” (perché con la scomparsa del
soggetto obbligato viene a cadere anche il rapporto giuridico obbligatorio
previsto dagli articoli 411 ss. C.c.), ma non si dà luogo ad alcun
risarcimento. Lo stesso avviene qualora lo scomparso fosse una persona
inabile, incapace o priva di mezzi di sussistenza. Anche in questa
ipotesi, infatti, si è in presenza di un’estinzione della obbligazione
alimentare che “astrattamente” (dato che il soggetto non è in grado di
adempiere) esiste. Nondimeno non si dà luogo ad alcun risarcimento del
danno.
La conclusione teorica, è dunque molto evidente. Se il credito può essere
colpito e cioè cancellato ed estinto ad opera di un terzo, senza che il
fatto possa dar luogo a risarcimento del danno,sembra inesatto parlare di
“lesione del credito”. Il bene leso sarà un altro. Più precisamente sarà
quel bene che viene effettivamente a cadere, cioè ad essere colpito, in
tutte le ipotesi considerate (11).
Trascuriamo per un attimo di passare alla definizione del bene che viene
effettivamente leso nella fattispecie che stiamo esaminando, per passare
all’esame di una nuova categoria di fenomeni che vengono ricondotti nella
cosiddetta lesione del credito. Trattiamo ora l’ipotesi della interruzione
totale o parziale di un contratto sinallagmatico intercorrente tra due
soggetti. Esemplificando, è questo il caso della morte del calciatore
legato da un rapporto con una data società calcistica (12). E’ ugualmente
il caso della interruzione totale o parziale di una data prestazione
contrattuale (fornitura di beni o servizi, contratto di lavoro
subordinato, etc.) (13), dovuta da un dato soggetto ad un altro. Tutti
questi casi sono accomunati da un unico carattere e cioè, l’intervento di
un fatto illecito posto in essere da un soggetto estraneo al rapporto
obbligatorio provoca una interruzione temporanea o definitiva del flusso
delle prestazioni economico-patrimoniali che prende origine dal credito.
In queste ipotesi la giurisprudenza ha ammesso il risarcimento del danno
subito dal soggetto leso, richiedendo inizialmente che si trattasse di
prestazioni “insostituibili” (14). Ha poi richiesta che si trattasse di
obbligazioni “difficilmente sostituibili” (15) o, comunque, di una
“perdita patrimoniale” secca (16).
Anche in questo caso sembra inesatto parlare di “lesione del credito”. La
stessa giurisprudenza che ammette un “distinguo” tra caso e caso riconosce
questo stesso principio. In pratica ci possono essere “lesioni del
credito” che non vengono risarcite (se la prestazione è sostituibile o se
manca una perdita secca) e ci sono altre “lesioni del credito” che vengono
risarcite (prestazioni insostituibili o difficilmente sostituibili,
perdite secche) (17).
Anche in questo caso la conclusione è dunque evidente. Se il credito può
in taluni casi essere leso o annullato in modo totale o parziale senza dar
luogo a responsabilità, sembra inesatto riferire il risarcimento del danno
di cui si discute ad una ipotetica “lesione del credito”. La lesione andrà
invece riferita anche in questo caso ad una entità diversa.
Tralasciamo ancora una volta di esaminare più approfonditamente il bene
che vien leso nella fattispecie in esame, rimandando questa operazione ad
un momento successivo ed esaminiamo una nuova fattispecie che viene
riferita alla figura della lesione del credito. Prendiamo dunque in
considerazione la questione che viene normalmente definita “induzione
all’inadempimento” (18). A giudizio della dottrina e della giurisprudenza
che si sono occupate della questione, anche in questo caso ricorrerebbe
un’ipotesi di “lesione del credito” (19). Senonchè anche questa
conclusione deve essere avversata in base alle brevi osservazioni che
seguono.
Ed invero, nella ipotesi in esame non si può proprio dire che la figura
del vincolo obbligatorio venga in alcun modo menomata. L’inadempimento,
infatti, non produce affatto né un’estensione, né una caducazione del
rapporto creditorio. Esso produce infatti la riconferma del vincolo
suddetto (perpetuatio obbligationis) e dà anzi luogo ad un nuovo credito a
favore del soggetto attivo del rapporto, consistente nell’obbligo a
risarcire il danno eventualmente causato. Se dunque l’inadempimento non
produce una lesione del credito, neppure la cosiddetta induzione
all’inadempimento potrà produrre la medesima lesione.
Anche in questo caso, dunque, il bene leso sarà diverso dal “bene
credito”. Diversamente non si potrebbe spiegare per quale motivo il
credito debba rimanere integralmente esistente mentre, nel contempo, il
soggetto che subisce l’inadempimento riceve una certa lesione di carattere
economico. E’ dunque evidente come questa lesione vada riferita anche in
questo caso ad un “quid” diverso (20).
3) Credito e beni futuri.
Esaminiamo ora il credito sotto un diverso profilo. Esaminiamo cioè il
credito da un punto di vista socio-economico. Che funzione svolge il
rapporto giuridico obbligatorio da un punto di vista patrimoniale? Qual è
il risultato pratico che consegue al credito da un punto di vista
giuridico-patrimoniale?
Ed invero, schematizzando sinteticamente, il problema appare come segue.
Con il rapporto giuridico obbligatorio le parti deducono un certo bene
(detto prestazione; oggetto dell’obbligazione) e lo collegano ad un dato
soggetto (o a più soggetti, reciprocamente o non). Questo soggetto sarà
obbligato ad eseguire quella data prestazione che potrà consistere in un
“dare”, “fare” o “prestare”. A sua volta questa prestazione può essere
eseguita in modo simultaneo al sorgere di un dato vincolo obbligatorio,
nel qual caso si estinguerà nel modo più classico ossia con l’adempimento.
Se peraltro la prestazione contrattuale deve essere eseguita in più tempi
o comunque in futuro, il rapporto obbligatorio non si estingue, ma rimane
in vita. Esso, inoltre, si pone come fatto genetico di quella data
prestazione che dovrà essere eseguita in futuro (21).
Esaminiamo ora questa prestazione in modo specifico. Come può essere
qualificata da un punto di vista oggettivo? Quale rilievo assume per
diritto?
Ed invero, rispondendo a tutte queste domande dobbiamo rilevare come la
prestazione che forma l’oggetto dell’obbligazione debba essere qualificata
come “bene futuro”. E’ un bene, perché da un lato risponde ad un interesse
dell’uomo e, dall’altro lato, perché può essere oggetto di diritto. E’
inoltre futuro, poiché non è ancora venuto ad esistenza (22).
Con questa qualificazione, inoltre, la prestazione bene futuro viene
svincolata totalmente dalla figura del credito. Essa, pur essendo
originata dal credito, assume un rilievo oggettivo e si distacca
totalmente dal credito stesso (23). Questo fenomeno risulta evidente in
base alle brevi osservazioni che seguono.
Ed invero, una volta che è venuta ad esistenza, quella data
prestazione-bene futuro (qualora ricorrano tutti i requisiti richiesti
dalla legge) può essere trasferita dall’avente diritto ad un altro
soggetto (1348 e 1472 cod. civ.). Questo, a sua volta, la potrà trasferire
ad un altro soggetto e così via. Ciascuno dei soggetti considerati potrà
compiere su quel dato bene futuro tutti i negozi giuridici che sono con
esso compatibili. La prestazione futura rientrerà inoltre a pieno titolo
nell’ambito del patrimonio del suo avente diritto e come tale, in base
all’art. 2740 cod. civ., concorrerà a costituire la garanzia per tutti i
rapporti obbligatori da lui posti in essere (24).
Questa preliminare osservazione porta ad una logica conclusione. La
prestazione bene-futuro ha assunto un rilievo oggettivo e si è svincolata
parzialmente dal credito. Essa è infatti oggetto del rapporto giuridico
che l’ha originariamente posta in essere, ma, contemporaneamente, è anche
oggetto di tutti gli altri negozi che su di questa sono stati compiuti
(negozi di garanzia, compravendita, etc.). Inoltre è la lesione di questa
stessa prestazione che può generare l’obbligazione risarcitoria “da fatto
illecito” di cui all’art. 1176 cod. civ. (25).
A questo punto possiamo dunque trarre una prima conclusione. Possiamo
affermare come sia errato parlare nel caso in esame di “lesione del
credito”. Nelle varie ipotesi prese in considerazione, infatti, si rileva
come vi possa essere interruzione o menomazione del rapporto creditorio
senza che, nel contempo, si rilevi una corrispondente diminuzione
patrimoniale. Non è dunque l’aggregazione del bene-credito che dà ingresso
al risarcimento del danno, ma, piuttosto, questo nocumento deriva dalla
lesione di un bene diverso. Più precisamente, questo bene può essere
individuato nel bene-futuro-prestazione che, in taluni casi (ossia quando
la prestazione non va eseguita simultaneamente al suo nascere), viene
generato dal rapporto creditorio (26).
4) Beni futuri e diritto sui beni futuri.
La dottrina e la giurisprudenza si sono occupate molto poco dei beni
futuri. Eppure questa categoria di beni è molto importante poiché viene in
considerazione in diverse fattispecie legali. L’articolo 1472 cod. civ.
consente, anzitutto, e disciplina la vendita di beni futuri. L’articolo
1223 cod. civ. prevedendo il risarcimento del danno da mancato guadagno,
offre anche una tutela effettiva di questi beni. L’articolo 771 cod. civ.
disciplina poi l’ipotesi di donazione avente ad oggetto i beni futuri.
Codesti beni sono infine presi in considerazione dall’art. 1348 cod. civ.
e dal già ricordato articolo 2740 cod. civ. ove si dispone che il
creditore risponde “con tutti i suoi beni presenti e futuri”. La categoria
dei frutti (definita dagli articoli 820ss del Codice Civile) rientra a
pieno titolo nel concetto di bene futuro, ma non si identifica con esso,
come è dato dedurre dalla lettura dell’articolo 771 cod. civ., ove si
compie appunto una distinzione tra “frutti” e “beni futuri” in genere. In
questo caso, invero, la distinzione con gli altri beni futuri sta nel
fatto che i frutti derivano da una cosa madre (27).
Orbene, la più autorevole dottrina in argomento definisce il concetto di
bene futuro nel modo che di seguito si espone (28). In questo concetto
rientrano le seguenti voci:
1) le cose che in genere non sono ancora in natura;
2) le cose già esistenti, tuttavia non ancora occupate, ma suscettibili di
occupazione;
3) i prodotti non ancora formati nella loro individualità economica;
4) i prodotti non ancora staccati dalla cosa madre;
5) i vantaggi, i guadagni e le prestazioni che comunque derivino da un
dato soggetto (29).
Da un punto di vista genetico possiamo affermare quanto segue. I beni
futuri sono essenzialmente generati da due diverse entità ossia dalla
proprietà e dal lavoro.
La proprietà, anzitutto, genera beni futuri nella forma dei frutti
naturali e civili (30), descritti e disciplinati in diverse parti del
codice civile, ma principalmente agli articoli 820 ss. cod. civ. Il lavoro
(31) a sua volta, genera i beni futuri nella forma di prestazioni
contrattuali (lavoro, retribuzione, corrispettivo) o di altre prestazioni
“non contrattuali” (proventi derivanti dall’attività di ricerca,
costruzione, occupazione di res nullius, trasformazione di materie prime
in altri beni). I beni futuri possono infine derivare dall’azione
combinata della proprietà e del lavoro (32). Questo avviene in tutti i
casi in cui una data attività economica (industria, servizi, commercio etc.)
viene esercitata organizzando insieme lavoro e proprietà nella forma di
impresa od in un’altra forma (ente pubblico, lavoro autonomo).
I beni futuri sono ad ogni effetto “beni” (33) e, come tali, è logico
ritenere che sino oggetto di diritto in base al disposto di cui
all’articolo 810 cod. civ. i beni futuri infatti possono essere oggetto di
contratto (1348 cod. civ.) e, più in particolare, di donazione (771 cod.
civ.) e di compravendita (1472 cod. civ.). essi possono inoltre essere
oggetto di garanzia (1472 cod. civ.) e, come tali possono essere pignorati
dal creditore procedente (516 cod. proc. civ.). Essi sono inoltre protetti
nell’ambito della figura del risarcimento del danno, in base all’art. 1223
cod. civ.
A questo punto sorge spontanea una domanda! A che titolo si può disporre
dei beni futuri? Qual è la posizione giuridica che assicura la protezione
e la disponibilità di un dato bene futuro in capo ad un dato soggetto
(34)? Questi quesiti appaiono di particolare interesse in base alle
osservazioni che seguono.
E’ a tutti noto l’antico broccardo in base al quale “nemo transferre
potest plus iuris quam ipse habet”. Esso rappresenta un principio
ampiamente consolidato nel tempo, in base al quale è possibile compiere
atti, di disposizione, solamente su quelle cose sulle quali si vanta un
diritto. Orbene, ci chiediamo, osservando un dato negozio di trasferimento
che abbia ad oggetto un dato bene futuro (ad esempio compravendita), in
base a quale potere giuridico l’alienante trasferisce questo bene futuro?
Qual è in pratica il diritto che viene trasferito? Se, come afferma la
giurisprudenza, l’acquirente riceve uno jus ad habendam rem (35), questo
significa che questo diritto già preesisteva in capo all’alienante.
Orbene, ci chiediamo, come si può definire questo “jus ad habendam rem”
che già preesisteva in capo all’alienante (36)?
C’è di più. In origine il potere sui frutti compete al proprietario della
cosa madre. Questi, peraltro, se ne può spogliare quando costituisce un
dato diritto reale o personale in capo ad un altro soggetto. Questo, a sua
volta, se ne può spogliare con un negozio di vendita di beni futuri.
Anche quest’ultimo acquirente può compiere la medesima operazione e lo
stesso avviene per tutti i successivi aventi diritto. Orbene, nonostante
tutte queste operazioni sui frutti, il proprietario della cosa madre non
perde questa sua qualità giuridica e lo stesso avviene per i titolari del
diritto reale o personale di godimento della stessa. Qual è dunque il
“quid” giuridico che passa da un soggetto all’altro in tutte le ipotesi
sopra considerate? Come si può definire questo potere giuridico sui
frutti, che può essere staccato dal potere giuridico sulla proprietà della
cosa madre ed anche dagli altri diritti reali e personali su di essa (37)?
A questo punto viene in considerazione il tema della vendita di beni
futuri definito dall’articolo 1472 del Codice Civile. Questa particolare
figura di vendita è stata oggetto di non poche discussioni in dottrina ed
in giurisprudenza. Gli studiosi si trovavano a dover rispondere ai
seguenti quesiti di natura giuridica.
Come si può parlare di vendita nell’ambito del disposto di cui all’art.
1472 cod. civ., dato che non v’è alcun “passaggio” di proprietà dei beni
(futuri, appunto) che ancora non esistono? Come va qualificato l’acquisto
della proprietà, in epoca successiva (non appena la cosa viene ad
esistenza) direttamente in capo all’acquirente? Come si spiega la “nullità
della vendita” di cui all’ultima parte dell’art. 1472 cod. civ.?
Sono state formulate diverse teorie volte a spiegare questi particolari
problemi. La vendita di beni futuri è stata anzitutto definita come un
negozio incompleto, in quanto privo di un suo elemento essenziale. Si è
parlato anche di negozio con effetti sospesi o di negozio in attesa di un
suo coelemento. Si è infine definito il contratto in parola come di
negozio sottoposto a condizione legale (38).
Secondo un’autorevole dottrina nel caso in esame non si potrebbe parlare
di negozio incompleto. Secondo questa dottrina, invero, pur essendo la
vendita un contratto consensuale dove il passaggio del diritto di
proprietà si verifica con il solo consenso, nulla dice che questo
trasferimento debba essere necessariamente immediato.
Secondo questo modo di vedere, la vendita di beni futuri sarebbe una
vendita obbligatoria in cui il trasferimento della proprietà si verifica
in un momento successivo rispetto alla stipula del contratto e dove, medio
tempore, il compratore assume la veste di creditore (39). Questa stessa
dottrina avverte peraltro come rimanga da chiarire se il successivo
trasferimento sia effetto dell’adempimento dell’obbligazione o se si
invece ricollegabile ad un fatto oggettivo (40).
La spiegazione della figura in esame come vendita obbligatoria non appare
convincente tanto nei suoi presupposti, quanto nelle sue conclusioni.
Il concetto di vendita obbligatoria presuppone anzitutto una
contraddizione di termini. Da un lato, infatti, la sola qualifica di
vendita comporta necessariamente con sé l’altro concetto di trasferimento,
di una data entità giuridica (proprietà o altro diritto). Dall’altro lato,
però, l’inserzione “obbligatorio” nella stessa definizione, comporta una
negazione del concetto medesimo di trasferimento. Non c’è trasferimento –
si dice – ma c’è invece obbligo al trasferimento. Qual è dunque la verità?
C’è questo trasferimento (e allora vi sarà vendita) o non c’è (e allora
non ci sarà vendita, ma solo promessa alla vendita)?
In contraddizione prosegue poi nelle conclusioni cui si giunge con la
figura della vendita di beni futuri, definita come vendita obbligatoria.
Ed invero, come va spiegato il fatto che la proprietà si acquista non
appena la cosa viene ad esistenza? Questo fenomeno attiene alla
conclusione di un contratto definitivo di vendita o riguarda invoca
l’adempimento della precedente obbligazione assunta? La teoria in parola
non può dare una spiegazione concreta a questo dilemma senza cadere in una
evidente contraddizione. Se infatti l’acquisto della proprietà viene
ricollegato ad un contratto successivo di vendita, si deve relegare la
vendita di cosa futura nell’ambito delle figure della promessa di vendita,
se invece si vuol far risalire l’acquisto della proprietà al concetto di
adempimento resta però da chiarire in cosa consista questo “adempimento”,
posto che la proprietà viene acquistata senza alcuna “traditio”,
direttamente in capo all’acquirente.
La questione forse può essere spiegata, spostando semplicemente l’angolo
visuale in cui è sempre stata considerata. Tutte le teorie prese in
considerazione, infatti, si son preoccupate di trovare un accordo tra due
dati apparentemente dissonanti. Questi sarebbero, infatti, da un lato la
figura della vendita (dove si assume che vi debba essere necessariamente
un trasferimento del diritto di proprietà) e, dall’altro lato, il fatto
che, all’atto del contratto, non vi sia alcun trasferimento di un diritto
di proprietà (che ancora non esiste).
Orbene, l’apparente contraddizione può invece cadere ove si consideri che
con la vendita non si trasferisce solamente il diritto di proprietà. Con
questo contratto, infatti, a norma dell’articolo 1470 cod. civ. si può
trasferire anche “un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”.
Ciò premesso, dato che nell’ambito della figura di cui all’articolo 1472
cod. civ. non v’è un trasferimento del diritto di proprietà e dato che il
legislatore “insiste” nel definire questa figura contrattuale come
“vendita”, si deve concludere che con essa si compia il trasferimento di
un diritto diverso dal diritto di proprietà. Più precisamente, si tratterà
del diritto sul bene che viene trasferito ossia si tratterà del diritto
sul bene futuro.
In un certo senso, dunque, la vendita di beni futuri è la dimostrazione
del fatto che esiste un diritto sui beni futuri stessi. Nello stesso
tempo, l’esistenza di questo diritto sui beni futuri spiega in qual modo
possa operare la figura della vendita in parola.
Questa concezione del negozio presenta il vantaggio di consentire una
spiegazione armonica dell’intera figura della vendita di beni futuri (41).
Passiamo ora ad un altro argomento ed esaminiamo più approfonditamente il
potere giuridico che riguarda i beni futuri. In questo ambito, osserviamo
in particolar modo il bene-futuro-prestazione ossia quella particolare
utilità futura che prende origine dal credito. Al riguardo sorgono
spontanee alcune domande. Ed invero, il potere giuridico sulla res di cui
dispone il creditore trova la sua base giuridica nel diritto di credito,
oppure ha anche una diversa motivazione giuridica? Che differenza esiste
tra il diritto di credito ed il diritto di disporre del
bene-futuro-prestazione?
Un esame anche sommario della fattispecie in esame porta ad identificare
due diverse posizioni giuridiche soggettive (42).
Da un lato, si rileva anzitutto il diritto di credito. Esso ha natura
relativa, poiché spiega i suoi effetti unicamente nei confronti del
soggetto o dei soggetti obbligati. Non ha invece alcun effetto nei
confronti degli altri soggetti estranei al rapporto giuridico
obbligatorio. Il credito ha inoltre l’importante funzione di porre in
essere ossia di generare l bene prestazione. Il vincolo giuridico in esame
prende inoltre origine dalla legge o da una diversa convenzione intercorsa
tra le parti (43).
Dall’altro lato, vi è poi il potere di disporre del
bene-futuro-prestazione, che è sorto in forza del rapporto giuridico
obbligatorio. Questo potere non è relativo, poiché non è limitato ad un
determinato soggetto come avviene nel credito. Esso riguarda tutti i
consociati ossia tutti quei soggetti che potenzialmente potrebbero
ricevere questo stesso potere in base ad una convenzione negoziale od in
base ad altro rapporto giuridico (espropriazione forzata etc.). Questo
potere non nasce “dal” rapporto obbligatorio, ma è previsto dalla legge.
Questa prevede e disciplina infatti un generico potere di disporre dei
beni futuri con gli articoli 1348 e 1472 cod. civ. E’ questa, dunque, la
base legislativa che genera il potere di disporre del
bene-futuro-prestazione e non già il credito. Questo, come si è visto, si
limita semplicemente in questo caso a fungere da fatto genetico del
bene-futuro-prestazione. Quest’ultimo, poi, una volta generato, segue
vicende parzialmente svincolate dal suo fatto generatore. Il credito, in
sintesi, ne assicurerà l’adempimento nei confronti di uno o più soggetti
determinati, mentre una diversa posizione giuridica soggettiva, ne
assicurerà la disponibilità nei confronti di ogni altro soggetto.
In pratica si devono tenere nettamente distinte due diverse posizioni
giuridiche che tendono a sovrapporsi.
Da un lato vi sono anzitutto i fatti genetici di beni futuri. Essi sono la
proprietà (frutti naturali e civili) il lavoro (prestazioni contrattuali,
credito, etc.) nonché lavoro e proprietà combinati insieme (impresa,
lavoro autonomo, enti pubblici etc.). Dall’altro lato vi sono poi le basi
giuridiche che assicurano il godimento e la protezione dei beni futuri.
Esse sono costituite in sintesi dagli articoli 771, 1223, 1348, 1472, 2740
cod. civ.. Fatti genetici e potere giuridico sono due cose ben distinte e
tali rimarranno anche per quanto riguarda il credito.
Il diritto di credito è dunque la posizione giuridica che si pone come
fatto generatore del bene-futuro-prestazione. Esso assicura inoltre
l’adempimento nei confronti del soggetto obbligato. Il diritto di credito
non va invece confuso con il potere di disporre del bene futuro, che è
stato posto in essere. Questo potere ha infatti un carattere generale e
riguarda tutti i beni futuri che fanno capo ad un dato soggetto
(provenendo dalla proprietà, dal lavoro o da lavoro e proprietà combinati
insieme). Esso non si identifica con il credito perché esiste
indipendentemente da esso, trovando la sua base giuridica in diverse fonti
legislative (art. 771, 1223, 1348, 1472, 2740 cod. civ.).
D’altra parte, il fatto che il diritto di credito ed il potere di disporre
del bene-futuro-prestazione siano entità distinte, risulta evidente in
base alle osservazioni che seguono.
Ed invero, l’atto dispositivo del bene futuro può anzitutto avere ad
oggetto beni che non derivano dal credito, quali i frutti naturali e
civili. Con il che si dimostra come il potere dispositivo del bene futuro
sia cosa non coincidente con il credito (44).
Non è tutto. Un dato soggetto può benissimo compiere un negozio di
trasferimento di un dato bene-futuro-prestazione prima ancora di aver
posto in essere il rapporto giuridico obbligatorio, che gli darà diritto a
quella data prestazione che ha formato oggetto della sua disposizione.
Anche in questo caso si dimostra, dunque, come il potere di disposizione
del bene futuro abbia una base diversa dal potere giuridico che trae
origine dal credito (45).
5) Il diritto soggettivo sui beni futuri.
E’ giunto ora il momento di definire in modo più approfondito la posizione
giuridica soggettiva che sinora abbiamo trattato. Come si può definire il
potere giuridico sui beni futuri? Quale nome si può dare a questo diritto
(46)?
Ed invero, esiste nella lingua italiana un termine che esprime il concetto
dinamico temporale che è presente in tutte le azioni dell’uomo. Questo
termine è “il profitto”. Con questa parola si vuole infatti indicare ogni
vantaggio, ogni progresso, ogni frutto, che deriva all’uomo o dalla sua
attività o dalla natura o anche da caso (47).
Il fenomeno “profitto” è quello con cui la proprietà tende ad accrescersi
nel tempo. Al suo contrario esiste invece il consumo, ossia quel fenomeno
con cui la proprietà tende a diminuire od ad essere intaccata nel tempo.
Il profitto da un punto di vista giuridico ha dunque un aspetto dinamico
che si può qualificare come segue. Esso, una volta conseguito, rientra nel
concetto giuridico di proprietà. In questo momento è infatti un bene
esistente e come tale può essere oggetto di diritto reale. Questa stessa
qualificazione non è invece possibile quando il profitto non è ancora
venuto ad esistenza. In questa fase, infatti, esso si identifica in
pratica con il concetto di bene futuro e, come tale, non può rientrare né
nel concetto di proprietà né in quello di un altro diritto di natura
reale.
Poiché peraltro, come si è visto, dei beni futuri si può disporre, sorge
il problema della definizione di una nuova posizione giuridica di diritto
soggettivo. Questa, dunque, potrà essere definita come “diritto al
profitto” ossia di quel potere di godere e di disporre dei propri beni
futuri non ancora venuti ad esistenza, e di ottenere dai terzi, un
comportamento conforme all’ordinamento vigente quanto ai beni medesimi
(48).
La tutela giuridica del profitto appare poi evidente in base alle
osservazioni che seguono. Ed invero, l’articolo 1223 stabilisce come il
risarcimento del danno debba comprendere le perdite subite e “il mancato
guadagno”. Orbene, dato che il risarcimento del danno è diretto a
riportare il patrimonio del soggetto leso nello stato in cui si trovava
prima del verificarsi dell’evento dannoso si deve necessariamente
concludere come il mancato guadagno rientri a pieno titolo nel concetto
giuridico di patrimonio disciplinato dall’art. 1223 cod. civ. (49). Questo
sarà dunque costituito da due diversi elementi. Da un lato si rileveranno
quindi i beni esistenti, che correlativamente corrispondano alle “perdite
subite” e, dall’altro lato, si rileveranno i beni futuri che sempre
correlativamente corrisponderanno ai “mancati guadagni” (50).
6) Conclusione.
Concludiamo brevemente e ritorniamo dunque al tema della lesione del
credito.
Sotto questo profilo osserviamo preliminarmente come sia errato definire
come “lesione del credito” la categoria in esame. Se ci può essere
menomazione o caducazione del credito senza danno, sembra infatti inesatto
riferire a questa sola entità la lezione di cui si discute. Si dovrà
invece vedere se il bene leso non sia una cosa diversa dal rapporto
obbligatorio. Si dovrà cioè individuare l’oggetto esatto della lesione in
esame.
Ed invero, esaminando la fattispecie, sembra potersi affermare come in
tutte le ipotesi di danno descritte, l’entità che subisce una lesione
corrisponda al bene-futuro-prestazione che prende origine dal credito. Vi
può infatti essere lesione del credito senza danno (ossia quando manca una
prestazione futura o quando è già stata eseguita oppure quando la caduta
avviene in modo equo e contemporaneo per entrambi i soggetti), ma quando
viene colpito il bene-futuro-prestazione in capo ad un unico soggetto vi è
sempre danno. Il bene-futuro-prestazione è dunque il fenomeno a cui va
ricondotta la fattispecie in esame.
Il credito è in pratica un fatto generatore di profitto, intendendosi con
quest’ultimo termine il fenomeno complessivo dei beni futuri che possono
far capo ad un dato soggetto. Il credito pone infatti in essere
determinate utilità che potranno essere godute in un momento successivo.
L’avente diritto non potrà trasferirle a terzi. Sulle medesime utilità
potranno inoltre essere compiuti altri negozi giuridici.
Si configura a questo punto un nuovo diritto soggettivo parallelo ma
distinto dal credito. Quest’ultimo ha infatti carattere relativo ed
assicura la tutela nei confronti del solo soggetto obbligato. Il credito
trae inoltre origine dalla legge o da una convenzione delle parti. Il
nuovo diritto può trasferirlo a qualunque consociato, esso ha una fonte
diversa dal credito poiché è direttamente originato dagli articoli 771,
1348, 1223, 1472, 2740 cod. civ.
I beni futuri sono altresì tutelati erga omnes in base all’art. 1223 cod.
civ. Questo articolo assicura infatti la protezione dei mancati guadagni
nell’ambito della figura del risarcimento del danno. Ora, dato che questo
risarcimento è diretto a ricostruire lo status quo ante del soggetto leso,
la presenza in esso dei “mancati guadagni” sta ad indicare che i beni
futuri rientrano a pieno titolo nel concetto giuridico di patrimonio. In
quanto tali, saranno tutelati erga omnes per quanto non ancora venuto ad
esistenza.
Ciò premesso, possiamo passare a definire la posizione giuridica che ha ad
oggetto il fenomeno “profitto” ossia i beni futuri. Essa potrà essere
definita come il diritto di godere e di disporre dei propri beni futuri
(utilità e guadagni) non ancora venuti ad esistenza e di ottenere dai
terzi un comportamento conforme all’ordinamento vigente quanto ai beni
medesimi.
In conclusione, dunque, possiamo affermare quanto segue. Il rapporto
obbligatorio pone talvolta in essere un bene-futuro-prestazione
(profitto). Quando ciò avviene l’avente diritto dispone di due diverse
posizioni giuridiche soggettive: una (credito) tutelata nei confronti del
solo soggetto obbligato e l’altra (diritto al profitto) tutelata nei
confronti di tutti i consociati. Se si verifica un evento lesivo da parte
di un soggetto esterno al rapporto obbligatorio, questo verrà a ledere il
diritto al profitto, in base al quale il suo titolare ha il potere di
godere e di disporre di quella data prestazione in modo oggettivo ed a
prescindere dal suo adempimento (ossia dal credito).
7) Alcune conseguenze pratiche e teoriche.
La individuazione ed il riconoscimento di un diritto soggettivo al
profitto, comportano numerose conseguenze di carattere pratico e teorico
nell’ambito del nostro ordinamento. Oltre a dare un contributo alla
risoluzione del tema della lesione del credito, queste conseguenze si
possono riassumere come segue:
a) Responsabilità civile. La individuazione di un diritto soggettivo di
carattere assoluto che ha ad oggetto il bene-futuro-prestazione (diritto
al profitto) ci porta a riflettere nuovamente sulla figura legale della
responsabilità civile. La dottrina e la giurisprudenza avevano infatti
mutato la loro impostazione tradizionale della soluzione della
responsabilità aquiliana (secondo la quale per aversi responsabilità
civile occorreva la lesione di un diritto soggettivo di natura assoluta)
proprio per arrivare ad ammettere il risarcimento del danno nei confronti
della cosiddetta lesione del credito (cioè di un diritto reale relativo).
Se si riconosce l’esistenza del diritto al profitto che si è descritto
nelle pagine che precedono, questa impostazione del problema perde il suo
scopo e la sua funzione iniziale. Di conseguenza, viene nuovamente (e con
più forza) in considerazione l’impostazione teorica della responsabilità
aquiliana, come lesione di un diritto soggettivo di natura assoluta.
b) Concorrenza sleale. La dottrina e la giurisprudenza si sono chieste con
frequenza quale fosse il diritto soggettivo tutelato con la disciplina
prevista dal nostro ordinamento in tema di concorrenza sleale.
La figura del diritto al profitto può essere una risposta anche a questo
problema. Con le norme presenti in tema di concorrenza sleale, infatti, la
legge si propone, tra l’altro, di tutelare i beni futuri (ordini,
contratti, utili sociali) che fanno capo ad un determinato soggetto, in un
dato momento, in forza di una data attività economica.
c) Avviamento. Il tema dell’avviamento è di stretta connessione con quello
della concorrenza sleale, posto che quest’ultima rappresenta una minaccia
all’avviamento inteso come probabilità di guadagno futuri. Il tema
dell’avviamento e la sua esatta natura giuridica sono stati lungamente
discussi dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In questa materia il tema
del profitto può dare il suo apporto teorico pratico nella maniera che
segue. Da un punto di vista funzionale, l’avvenimento può essere
considerato una forma di quantificazione dei beni futuri profitto che
fanno capo ad un dato soggetto, quantificazione che viene fatta secondo
determinate regole di carattere metagiuridico (economia, contabilità). Da
un punto di vista formale, invece, la legislazione presente in tema di
avviamento rappresenta una forma di tutela e di disciplina del profitto.
d) Responsabilità della p.a. La pubblica amministrazione non risponde
sempre civilmente degli atti illegittimi (cioè viziati ed annullati
dall’autorità giurisdizionale amministrativa). Essa risponde del danno
causato da codesti atti illegittimi solo quando abbia contemporaneamente
leso anche un diritto soggettivo perfetto. Ciò premesso, in moltissimi
casi il cittadino non può ottenere il risarcimento del danno causato dalla
p.a., essendo sprovvisto di titolarità di un diritto soggettivo perfetto.
Se peraltro si riconosce la figura del diritto al profitto, questa
situazione può subire una notevole trasformazione, L’area di diritti
soggettivi posti a favore del privato nei confronti della p.a., diviene
infatti più ampia e, conseguentemente, si restringe l’area degli interessi
sostanziali che risultano privi di protezione giuridica.
e) Interessi sui beni futuri. Il profitto (beni futuri) è un momento
importante del fare umano, posto che ogni azione ha generalmente come
scopo o come presupposto il conseguimento di un dato bene futuro. Il
lavoro viene svolto per una retribuzione o per un corrispettivo. L’impresa
viene costituita per conseguire appunto gli utili d’impresa. Il danaro
viene investito per conseguire gli interessi (frutti naturali o frutti
civili) ed anche le attività umanitarie benefiche vengono poste in essere
per conseguire i beni futuri, corrispondenti ai benefici di cui godranno i
soggetti destinatari di quella data attività. Il concetto di profitto
riunisce tutti questi interessi sotto un’unica categoria, offrendo loro
una tutela di rango elevato, nella forma del diritto soggettivo.
f) Vendita di beni futuri. Come si è visto, la figura del diritto
soggettivo al profitto consente di offrire una spiegazione dell’istituto
della vendita di beni futuri. Secondo la spiegazione offerta, questa
vendita consisterebbe in sintesi nel trasferimento da un soggetto
all’altro del diritto su di un dato bene futuro (diritto al profitto).
Sull’onda di questa spiegazione, la stessa impostazione teorica può essere
data ad ogni negozio che abbia ad oggetto i beni futuri. Questi negozi,
dunque, altro non sarebbero che figure contrattuali che prendono ad
oggetto il diritto sui beni futuri. In questo ambito, viene anche in
considerazione l’istituto del “factoring”. Questa figura negoziale è
interamente incentrata, su di un particolare tipo di bene futuro,
consistente nei crediti che fanno capo ad una data impresa commerciale.
Anche in questo caso si può ritenere che lo schema essenziale del
factoring si concreti in una cessione del diritto al profitto sui beni
futuri che vengono in considerazione.
h) Danno alla persona. L’impostazione teorica delle figura del
risarcimento del danno alla persona ha sempre creato delle difficoltà agli
studiosi che se ne sono occupati. Come si può quantificare un danno su di
un oggetto – la persona umana, appunto – che per sua natura non è
quantificabile? Anche in questo caso, il diritto al profitto può
contribuire alla soluzione di questo problema. Riconoscendo questa
particolare figura di diritto, il risarcimento in esame appare non già
come risarcimento alla “persona”, ma piuttosto reintegrazione dei beni
futuri (oltre a quelli presenti, corrispondenti al concetto di perdite
subite di cui all’art. 1223) che vengono persi in seguito alla menomazione
della integrità psicofisica. La lesione della persona, dunque, si pone
come un atto plurioffensivo. Essa non lede solo l’integrità psicofisica di
un dato soggetto, ma comporta una caduta di un certo numero di beni
futuri, consistenti minori vantaggi che divengono possibili per il
soggetto leso (nonché in ogni altro beneficio futuro ed economicamente
valutabile che viene a cadere).
(1) L’articolo è una rielaborazione del pensiero che è esposto al capitolo
XI dell’opera “La tutela del profitto” (Amedeo Nigra, Pirola ed., 1985,
pp. 260). Secondo il pensiero che è esposto nel testo citato, il concetto
di profitto sotto il profilo giuridico si identificherebbe con quello di
“bene futuro”. Il profitto, in pratica, sarebbe il vantaggio (bene futuro,
appunto) che l’uomo si attende in un dato momento. Tra i beni futuri che
vengono in considerazione in tema di profitto ci sono anche le prestazioni
contrattuali e, quindi, il concetto di credito in genere.
(2) Il tema della lesione del credito è stato studiato da numerosi autori.
La bibliografia sull’argomento è molto vasta. Al riguardo ricordiamo, tra
gli scritti più recenti: DEL CONE E. Recenti indirizzi interpretativi
dell’art. 2043 cod. civ. per la tutela del diritto di credito, in Resp.
Civ., 1983, 716. PICCARDI M., Lesione del diritto di credito del datore di
lavoro alle prestazioni lavorative del dipendente e selezione degli
interessi meritevoli di tutela, in Dir. E pratica assic. 1983, 514.
MARTANO M., Tutela aquiliana del diritto di credito del datore di lavoro;
un problema da rimediare (Nota a T. Varese, 21 settembre 1982, Ditta Tutto
Lamier c. Lazzaretto), in Giust. It., 1984, I,2,65. ANTINOZZI M., La
“vittima della strada” e le pretese risarcitorie del suo datore di lavoro,
in Riv. Dir. Civ., 1984, II, 69. POLETTI D., Sul risarcimento del danno in
favore del datore di lavoro per l’invalidità temporanea del dipendente
provocata dal fatto illecito di un terzo (Nota a Cass. 9 febbraio 1982, n.
763 Dallari c. Soc. Campi; T. Cremona, 1 luglio 1982, Mafezzoni c. soc.
Cremonese e P. Pordenone, 11 marzo 1982, Soc. Costruì. Meccaniche Zanussi
c. Molin) in Riv. Giur. Lav., 1983, II, 421. BESSONE M., Dagli
orientamenti tradizionali alle nuove direttive della giurisprudenza in
tema di responsabilità civile per lesione del credito (e per induzione
all’inadempimento), in Foro pad., 1981, Ii, 41. SPECIALE R., Lesione del
credito del datore di lavoro e danni risentiti dai dipendenti (Nota a Cass.,
9 febbraio 1982, n. 763, Dallari c. Soc. Campi) in Giur. It., 1983, I, 1,
633. BESSONE M. Tutela aquiliana del credito e responsabilità per i danni
causati dalla temporanea invalidità del prestatore di lavoro (Nota a P.
Vercelli, 17 ottobre 1980, Soc. Siver e Novasio) in Giur. Merito, 1982,
1189. GRIPPAUDO I.M., Il risarcimento del danno causato da terzi all’ente
dal quale l’impiegato dipende, in Nuova rass., 1983, 689. GENTILI A.,
Sull’ampiezza del danno risentito dal datore di lavoro per l’assenza del
lavoratore dipendente da fatto illecito del terzo (Nota a T. Piacenza, 11
maggio 1982, Soc. Sip c. Lloyd Italico e d’Ancora) in Risparmio, 1982,
797. TRIMARCHI P., Sulla responsabilità del terzo per pregiudizio al
diritto di credito, in Riv. Dir. Civ., 1983, I, 217. BESSONE M. Lesione
del credito, l’induzione a non adempiere, a tutela aquiliana dei diritti
personali di godimento negli orientamenti a una giurisprudenza evoluta, in
RIv. Not., 1982, 11. LICCI G., Impresa familiare e lesione del diritto di
credito, in Dir. E pratica assic., 1980, 301. DI MARCO GENTILE C., Spunti
per un’applicazione in tema di tutela aquiliana del credito (Nota a Cass.
11 luglio 1978, n. 3507, Tendas c. Fontanella), in Rass. Giur. Enel, 1979,
228. MANDELLI R. Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di
ammissibilità della tutela aquiliana per lesioni del diritto di credito
del datore di lavoro in seguito ad infortunio non letale del lavoratore
(Nota di A. Milano, 16 febbraio 1979, Soc. Campi c. Dallari), in
Orientamento giur. Lav., 1979, 453. ANTINOZZI M., Irrisarcibilità del
danno a favore del datore di lavoro per sinistro occorso a suo dipendente
(Nota a P. Vicenza, 15 gennaio 1977, Soc. Vicentini c. Bertinazzi) in Dir.
E pratica assicur. 1977,455. DE MARCO C., Ancora sul diritto al
risarcimento del danno del datore di lavoro che ha corrisposto la
retribuzione al proprio dipendente rimasto infortunato per fatto illecito
del terzo (Nota P. Vicenza, 15 gennaio 1977, Soc. Vicentini c. Bertinazzi),
in Resp. Civ. 1978, 117. PIRAINO LETO A., La tutela aquiliana del credito
in Vita not. 1977,11. ANTINOZZI M., Esclusione della tutela aquiliana per
la lesione del credito ad opera di terzi (Nota a Cass. 5 luglio 1976 n.
2489, Colombo c. Morra), in Dir. E pratica assic., 1977,208. PONTI I.,
Risarcimento del danno a favore del datore di lavoro per sinistro occorso
a suo dipendente: una sentenza innovativa (Nota a T. Milano, 20 febbraio
1975, Salvi c. Pagliughi) in Resp. Civ. 1975, 184.
(3) La più antica dottrina e giurisprudenza sono attestate sul principio
per cui il risarcimento del danno (tra l’altro) veniva ammesso nella sola
ipotesi di lesione di un diritto soggettivo perfetto. Sul tema, più
ampiamente, vedasi, FERRINI in N.D.I., Vol. VI, 1938, voce illecito; p.
662; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale V, Mi, 1958;
TRIMARCHI, in Enc. Del Dir., Vol. XX, pp. 93 ss.
(4) La decisione che ha portato ad una svolta decisiva è stata quella,
ormai famosissima, della Cassazione a Sezioni Unite del 25 gennaio 1971 n.
174 (in Gius. Civ. 1971, I, 99). Nell’occasione, la Suprema Corte
dichiarava che, ai fini della responsabilità civile di tipo aquiliano, non
aveva alcun rilievo la distinzione tra diritto assoluto e diritto
relativo. La lesione ingiusta anche di una posizione quantificabile di
diritto relativo avrebbe pertanto comportato l’obbligo a risarcire il
danno eventualmente causato.
(5) Questo problema è stato sollevato da una interessante decisione della
Cassazione (Cass. 1-4-1980 in Foro It., 1980, I 388). La Suprema Corte,
nell’occasione, ha individuato nel credito due diversi profili, uno
relativo, destinato ad operare nei confronti del solo contraente, ed uno
oggettivo, destinato ad operare nei confronti di ogni consociato. La
decisione così recita testualmente in uno dei suoi passi più
interessanti:”Né sussiste incompatibilità tra il carattere relativo della
tutela del diritto di credito ed il carattere assoluto della tutela
aquiliana, in quanto tali tutele riguardano due momenti diversi del
rapporto obbligatorio; la prima attenendo al momento dinamico o interno,
che si esprime nel potere del creditore di esigere la prestazione dal
debitore, e la seconda, invece, al momento statico o esterno, che si
esprime nell’apparenza dell’interesse del creditore alla sfera giuridica
patrimoniale del medesimo come mezzo di difesa di tale sfera,
dall’illecita ingerenza di terzi.
(6) L’individuazione di una diversa posizione giuridica non è nuova.
Secondo una decisione della Cassazione (Cass. 4-5-1982 n. 2765 in Giust.
Civ., 1982, I, 1745) esisterebbe un diritto definito come “il diritto di
determinarsi liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale
relativa al patrimonio”. Il tema è ripreso dalla dottrina. Lo Ziccardi
(L’induzione alla inadempimento, Mi, 1979) ha individuato nel contratto
una posizione giuridica di carattere sostanziale e diversa del credito,
con un rilievo sostanziale indipendente dal diritto di credito (ZACCARDI,
op. cit., pag. 73,76,79,131).
(7) Con la posizione economica generale del credito si hanno in pratica
due diversi interessi dell’uomo di natura sostanziale. Il primo ha natura
relativa in quanto si rivolge al solo debitore, consistendo nell’interesse
ad ottenere la prestazione nei confronti di quest’ultimo. Il secondo ha
invece un carattere assoluto. Il creditore, infatti, a prescindere
dall’obbligo che grava sul suo debitore, ha un interesse economico di
natura sostanziale di ottenere quella data prestazione.
(8) Il tema della scomparsa dei congiunti in seguito a fatto illecito del
terzo, e del conseguente obbligo al risarcimento del danno è stato
largamente trattato dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Al riguardo, in
particolare, vedasi C.M. BIANCA, L’inadempimento delle obbligazioni,
Zanichelli, Bo, 1980, Sub art. 1223 cod. civ. ed in particolare pag. 288
ss.
(9) Gli studiosi si sono spesso trovati in difficoltà nel qualificare
giuridicamente e sostanzialmente questo genere di prestazioni, che i
congiunti normalmente si usano scambiare. Si parla infatti di “alimenti” o
di “prestazioni alimentari” (Bianca, loc. ult. Cit.) o di “sovvenzioni
pecuniari” o di “aspettativa di prestazioni costituenti un duraturo e
concreto apporto patrimoniale” (in Giust. Civ. Mass 1966, 333) e Cass.
26-2-1966 n. 594.
(10) E’ difficile predeterminare in modo rigido e schematico le ragioni ed
i fatti giuridici che danno origine alle prestazioni economiche che
vengono in considerazione. Questi fatti possono sì essere l’obbligazione
alimentare di cui all’art. 433 cod. civ. Ma nulla esclude che essi possano
avere altra natura (contratto a prestazioni corrispettive o donazione ad
esempio). La questione ha rilievo dal punto di vista “interno” al rapporto
in questione, ma non rileva comunque dal punto di vista giuridico esterno
che qui si esamina. Queste prestazioni sono ad ogni effetto un beneficio
per il soggetto preso in considerazione e si tratta di vedere come ed in
qual misura detto beneficio possa o debba essere tutelato dal diritto.
(11) L’espressione credito è sicuramente dubbia e va precisata. Con questo
termine si può anzitutto indicare un dato rapporto giuridico, ossia il
vincolo giuridico che lega un dato soggetto attivo (creditore) ad un altro
soggetto passivo (debitore), avendo ad oggetto una data prestazione
contrattuale. Con il termine credito si può infine indicare proprio quest’ultima
prestazione. Quasi sempre quando si parla di lesioni del credito ci si
riferisce alla menomazione di quest’ultimo aspetto di natura sostanziale.
Come si dirà più oltre, questo modo di vedere le cose non è esatto. Nel
caso in esame è più esatto parlare di “lesione della prestazione”.
(12) Con questo esempio si vuol fare riferimento ad un caso concreto
esaminato dalla Cassazione (Cass. Sez. un. 25-1-1971, n. 174 in Giust.
Civ., 1971, I, 99). Nel caso preso in considerazione una data società
calcistica agiva in giudizio contro i responsabili della morte di un suo
calciatore, chiedendo il risarcimento del danno delle perdite subite e
consistenti nella perdita delle prestazioni professionali ad opera del
calciatore scomparso.
(13) Anche in questo caso ci si riferisce ad alcune vicende giudiziarie,
in cui era stato chiesto il risarcimento del danno derivato, appunto, in
seguito alla interruzione temporanea di un dato rapporto obbligatorio. In
questa ipotesi la cassazione affermava il principio per cui la estinzione
del credito avrebbe dato ingresso al risarcimento del danno relativo,
nella sola ipotesi in cui ne fosse derivata al debitore una perdita
definitiva ed irreparabile (Cass. 5-7-1976, n. 2489, in Foro It.
177,I,1773).
(14) Il concetto di insostituibilità delle prestazioni contrattuali, quale
requisito per la concessione del risarcimento del danno è stato introdotto
per la prima volta dalla Cass. Sez. un. 25-1-1971, n. 174 già citata.
(15) Questo requisito è stato richiesto dalla sentenza della Cassazione
del 5-1-1976, n. 2409 in Giust. Civ. Mass., 1976, 1043 dove si vede un
evidente sforzo di ampliare l’ambito della tutela offerta al soggetto
danneggiato.
(16) Questa decisione (Cass. 8-11-1980n. 6008, in Rass. Giur. Enel 1981,
pag. 190 ss.) è decisamente interessante. Con i termine “perdita secca” o
altri consimili (diminuzione patrimoniale atc.) ci si avvicina
maggiormente alla realtà della questione. Si prende cioè in considerazione
il rilievo sostanziale di tipo economico, abbandonando ogni altro rilievo
di tipo formale o astratto. Sotto questo profilo so afferma per la prima
volta che si dà luogo al risarcimento del danno, quando di fatto, si
rilevi la caduta (perditasecca) di un dato bene di natura economica.
(17) In effetti, la giurisprudenza non manca di rilevare come la questione
che viene in considerazione sia diversa dal “credito” in senso stretto. In
tutte le decisioni si cerca evidenziare e di individuare il principio
concettuale che serva a discriminare le interruzioni del credito che
devono essere risarcite, rispetto a quelle che non meritano questo
risarcimento.
(18) Il tema della induzione all’inadempimento è sicuramente complesso ed
affascinante. Sull’argomento un testo completo ed interessante è
costituito dall’opera di F. ZICCARDI, L’induzione
all’inadempimento,Milano, Giuffrè, 1979.
(19) La questione viene normalmente classificata nell’ambito della lesione
del credito, poiché l’induzione all’inadempimento produce un effetto
simile a quello della “caduta” del credito.
(20) Nel caso esaminato è evidente come il rapporto giuridico creditorio
rimanga rimanga formalmente integro. Ma (come ben sa chi si occupa del
teme del fallimento e dell’esecuzione forzata) a che serve un’obbligazione
che, sul piano pratico non si può adempiere? Anche in questo caso ciò che
viene meno non è il credito, ma l’interesse economico sostanziale che ha
ad oggetto le prestazioni che il creditore si attende.
(21) La prestazione contrattuale ha dunque due diversi rilievi. Da un lato
è un requisito essenziale dell’obbligazione dell’obbligazione in base al
disposto di cui all’art. 1325 cod. civ. Dall’altro lato, e
simultaneamente, è un’entità giuridica che viene generata dal credito
stesso.
(22) Che sia oggetto di diritto appare fuor di dubbio posto che la
prestazione è in diretta relazione con il diritto di credito, nonché come
si dirà più oltre, anche con il diritto di compiere su di essa altri
negozi giuridici. Non tutte le prestazioni contrattuali assumono invece la
qualità di bene futuro, giacchè questa sussiste solo quando il tempo
dell’inadempimento è differito rispetto a quello del sorgere della
obbligazione.
(23) Lo stesso fenomeno si rileva anche con riferimento ai beni presenti.
Quando una data proprietà viene dedotta in contratto, l’oggetto della
obbligazione assume un duplice rilievo. Da un lato il bene che viene in
considerazione è oggetto di un diritto assoluto, corrispondente al diritto
di proprietà. Dall’altro lato, inoltre, il medesimo bene è al tempo stesso
oggetto di un diritto relativo, corrispondente alla figura contrattuale
che viene in considerazione.
(24) Anche il codice di procedura civile agli articoli 516, 545 considera
i beni futuri quale oggetto dell’esecuzione forzata.
(25) Si può infatti ritenere che, quando viene interrotto un rapporto
giuridico creditorio, senza che vi sia alcuna lesione del
bene-futuro-prestazione, non venga in considerazione un’obbligazione da
fatto illecito di cui all’articolo 1176 cod. civ. Nel caso considerato,
infatti, vi è sì un evento riprovato dal diritto, ma, mancando la lesione
(caduta della prestazione), manca in senso tecnico un dato oggetto da
riferire all’obbligazione che astrattamente potrebbe sorgere. Non si ha
dunque un’obbligazione completa: vi è sì un fatto astrattamente genetico
di un’obbligazione (l’illecito appunto) ma, mancando il danno (oggetto
dell’obbligazione risarcitoria), non si può parlare di obbligazione in
senso tecnico.
(26) In estrema sintesi, sul piano sostanziale, ciò che ha rilievo è
sempre e comunque la prestazione che forma l’oggetto dell’obbligazione.
Avendo come riferimento questo elemento sostanziale anche la fattispecie
giuridica può essere risolta in modo più agevole.
(27) L’articolo 771 cod. civ. stabilisce infatti che “la donazione non può
comprendere che beni presenti del donante. Se comprende beni futuri è
nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora
separati”. A sua volta gli articoli 820 e 821 cod. civ. stabiliscono il
principio per cui i frutti (naturali o civili) si caratterizzano per il
fatto di derivare da una cosa madre. Si deve concludere che i frutti siano
beni futuri, differenziandosi, rispetto ai beni della stessa specie, per
il fatto di essere generati nell’ambito del diritto di proprietà (cosa
madre).
(28) Più ampiamente, vedasi, C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, Torino,
UTET, 1972, pag. 331.
(29) Nell’elenco che si è sopra evidenziato (punti 1-4) possono
astrattamente rientrare anche le prestazioni contrattuali. Con la voce che
si esamina si dà comunque una particolare rilievo ad ogni altro beneficio
(contrattuale o non) che comunque possa lecitamente derivare all’uomo e
che, al tempo stesso, sia considerato meritevole di tutela da parte
dell’ordinamento giuridico.
(30) Questo rilievo può essere desunto principalmente dalla lettura degli
articoli 820 cod. civ., ove si disciplina la figura legale dei frutti
naturali e civili. Sul tema ampiamente, vedasi P. BARCELLONA, in Enc. Del
Dir., Vol. XVIII, Milano, Giuffrè, 1969, p. 205 ss.
(31) Il lavoro, come fatto genetico di beni futuri, trova la sua base
normativa agli articoli 36 della Costituzione ed agli articoli 2099 del
Codice Civile. Nell’ambito della società lo stesso principio è affermato
dagli articoli 2247 cod. civ. (nozione di società) e 2265 cod. civ.
(divieto di patto leonino) anche il lavoro svolto in forma di società
genera beni futuri nella forma degli utili sociali e, questi, vengono
tutelati da illecite ingerenze interne nell’ambito della protezione
offerta dall’articolo 2265 cod. civ.
(32) Secondo la dottrina economica la figura dell’impresa risulta dalla
riunione dei fattori della produzione, costituiti da “natura”, “capitale”
e “lavoro”. Sotto il profilo giuridico, questa materia risulta
disciplinata dagli articoli 2082 cod. civ. (Imprenditore) e 2555 cod. civ.
(Azienda). Dal combinato disposto di questi due articoli risulta che
l’impresa è essenzialmente costituita dalla proprietà (natura, capitale) e
dal “lavoro” (prestato dall’imprenditore e dai suoi collaboratori).
Secondo la giurisprudenza, inoltre, l’azienda è la riunione di alcuni beni
produttivi operata dall’imprenditore al fine di ottenere un profitto
maggiore di quello che si otterrebbe da ciascuno preso singolarmente. Al
riguardo, più ampiamente vedasi G. AULETTA, in Enc. Del Dir., Vol. 4°,
Milano, Giuffrè, 1959, pag. 631.
(33) I beni futuri hanno la qualifica di beni sotto due diversi profili.
Anzitutto sono tali in quanto così definiti dalla legge. Secondariamente
rispondono ad un preciso interesse sostanziale dell’uomo.
(34) Il concetto di diritto soggettivo e la sua definizione è stata ed è
tuttora oggetto di vivaci dispute. Al riguardo, vedasi più ampiamente,
WIDAR CESARINI SFORZA, in Enc. Del Dir., Vol. XII, Milano, Giuffrè, 1964,
voce “diritto soggettivo”. Secondo questo autore, in sintesi, il diritto
soggettivo sarebbe il “potere individuale di regolare un certo
comportamento altrui, secondo un ordine oggettivo ed il potere individuale
di eseguire un comportamento conforme all’ordinamento vigente”.
(35) Tra le sentenze più recenti, parla espressamente di “jius ad habendam
rem” la Cassazione 16-7-1983 in resp. Foro It., 1983, voce vendita n. 36.
(36) La giurisprudenza esaminata dà per scontato lo “jius ad habendam rem”
in capo all’acquirente nel negozio di vendita di beni futuri. Resta
peraltro da spiegare quale sia il fatto genetico di questo “ius”, ossia
quale sia la sua esatta natura giuridica.
(37) Che si tratti di un’entità giuridica del tutto indipendente non
sembra possa dubitarsi, posto che il bene futuro può venire in
considerazione in una molteplicità di figure giuridiche (proprietà,
vendita, affitto, usufrutto) del tutto indipendenti tra di loro. Infatti,
il proprietario che si spoglia dei frutti non perde la sua qualità di
“signore” della cosa madre e così avviene per l’affittuario e per
l’usufruttuario.
(38) Più ampiamente, vedasi C.M.BIANCA, La vendita, cit., pagg. 334, 335.
(39)PERLINGERI, I negozi sui beni futuri, la compravendita di cosa futura,
jovine, Napoli, 8° ed., 1962, pagg. 43,52,55.
(40) PERLINGERI, op. cit., pag. 57.
(41) Secondo questo modo di vedere le cose la vendita di beni futuri
sarebbe, più semplicemente, il negozio con cui si trasferisce appunto il
diritto sul bene futuro e non già la proprietà di esso, che ancora non
esiste. Quando quest’ultimo fenomeno avverrà, il bene (non più futuro ma
presente) apparterrà a chi risulti titolare dell’originario diritto sul
bene futuro stesso.
(42) Le due posizioni si distinguono, come vedremo, anzitutto per la
natura del potere concesso dalla legge e, secondariamente, anche per le
diversità dei soggetti che vengono in considerazione.
(43) Essenzialmente, il concetto di relatività del diritto di credito sta
appunto ad indicare che esso opera, nei confronti dei soli soggetti che
vengono predeterminati dalle parti o dalla legge e che sono obbligati ad
eseguire quella data prestazione.
(44) Il potere di disporre di beni futuri è dunque più ampio del diritto
di credito. Con il primo si può disporre non solo del
bene-futuro-prestazione, ma anche in qualsiasi altro genere di bene
futuro, probabile o semplicemente “sperato”.
(45) Questo rilievo appare decisivo. La legge consente infatti di dedurre
in un negozio avente ad oggetto beni futuri, anche prestazioni
contrattuali che ancora non esistono e relative a rapporti giuridici non
ancora formati.
(46) Secondo la più autorevole dottrina (che si è citata alla nota “34”)
il potere giuridico su di un dato oggetto individua la presenza di un
diritto soggettivo.
(47) Secondo la lingua italiana con il termine “profitto” si intende ogni
“giovamento”, “vantaggio”, “utilità” “beneficio” “frutto” (Diz. Garzanti
della lingua italiana, Milano, 1° ed. 1965, voce “profitto”).
(48) Questa definizione risulta in sintesi dal combinato disposto dagli
articoli 1348 cod. civ. e 1223 cod., civ. Il primo consente un potere di
godere e di disporre relativamente ai beni futuri, mentre il secondo ne
assicura la protezione nell’ambito della figura del risarcimento del
danno.
(49) Si può dire che l’articolo 1223 cod. civ. contenga in pratica la
definizione del concetto di patrimonio. Da un lato, il risarcimento del
danno è diretto a ricostruire il patrimonio del soggetto leso,
riportandolo nello status quo ante. Dall’altro lato, la legge ci dice
(all’art. 1223 cod. civ. appunto) che il risarcimento deve comprendere le
perdite subite ed i mancati guadagni. Si può infatti affermare che ogni
patrimonio è costituito essenzialmente da beni presenti (cui corrisponde
il risarcimento delle perdite subite) e dai beni futuri (cui corrisponde
il risarcimento dei mancati guadagni).
(50) Ibidem.
(tratto dal Foro Padano, 1986, II)
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