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COMMENTI
IL
LEASING COME VENDITA DI BENE FUTURO
1)
Con
il leasing si cede il godimento
Ed
invero, per comprendere l'essenza del contratto di leasing sembra
opportuno ricorrere alle nostre origini romanistiche. In questo ambito
occorre richiamare i concetti basilari del diritto di proprietà e delle
facoltà ad esso riconnesse.
Su
tale premessa, viene dunque in considerazione il concetto di
"elasticità del dominio".
Cos'è
mai questo concetto? Cosa c'entra con il leasing? Esaminiamo brevemente
questo argomento.
Orbene,
fin dai tempi più antichi (nella tradizione del diritto romano), gli
studiosi del diritto elaborarono il principio della "elasticità del
dominio". In base a tale principio - si dice - la proprietà assume
una forma elastica. Essa può restringersi o ampliarsi sulla base di
alcune operazioni legali. Vediamo come. Ed invero, in origine la
proprietà è integra e completa. Ad essa fanno capo tutte le facoltà del
proprietario, quale quella di godere e di disporre del proprio bene
nell'ambito dei limiti previsti dalla legge. Peraltro, il proprietario
può cedere molte sue facoltà, mantenendo la sola titolarità del suo
diritto e diventando - si suol dire - "nudo proprietario".
Questo
avviene quando il proprietario stesso costituisce alcuni "diritti
reali" sul proprio bene (usufrutto, uso, superficie, enfiteusi,
servitù) oppure quando costituisce alcuni "diritti relativi",
(cosiddette obbligazioni, attraverso i contratti di affitto, locazione,
comodato, mutuo, vendita di beni futuri). In tali casi, il proprietario si
spoglia della facoltà d'uso e viene appunto definito "nudo
proprietario". Peraltro, non appena cesserà quel dato diritto, in
precedenza trasferito ai terzi di cui si è detto, in quel momento, egli
ritornerà pieno proprietario.
Posti
in chiaro questi primi rilievi, passiamo ora ad affrontare il tema del
leasing.
In
verità, questo contratto è proprio una espressione del principio della
"elasticità del dominio" che poc'anzi abbiamo accennato. Con
esso, infatti, il proprietario (società di leasing) trasferisce ad altri
(utilizzatore) tutte le facoltà che ineriscono al proprio diritto.
Sul
piano pratico, osservando il contratto di leasing, si rileva un dato che
non manca mai. In tutte le occasioni esaminate si rileva sempre la
cessione del godimento della cosa, verso il corrispettivo di un prezzo.
Chiarito
questo punto, resta peraltro un problema fondamentale. Infatti, la
cessione del godimento che si realizza
con il leasing, si verifica in diversi altri casi come nella figura
dell'usufrutto, nel contratto di locazione ed
in quello di comodato. Su tale premessa, esiste un'altra possibilità di
qualificazione oppure il leasing deve essere ricompreso solo tra i
citati contratti? E se la risposta è positiva, di che ipotesi si
tratta?
In
verità, c'è una figura negoziale che ancora non è stata esaminata.
Questa figura è la vendita di beni futuri. Vedremo di seguito se sia
realizzabile in concreto.
2)
Il godimento è un bene futuro
Secondo
l'articolo 810 del Codice Civile "sono beni le cose possono formare
oggetto di diritti". Su tale base, si deduce che il godimento è
una "cosa" sotto ogni profilo giuridico. La legge prevede
espressamente il "diritto di godere" all'art. 832 c.c. e
questo dato conferma appunto come il godimento - in quanto oggetto di
diritto - sia effettivamente una cosa.
A
questo punto sorge peraltro un secondo problema. Accertato infatti che
il godimento è una cosa, in quanto oggetto di diritto (articolo 832
c.c.), di che "tipo" di cosa si tratta? Come classificarlo per
il diritto?
Al
riguardo, va escluso che il godimento, inteso nella sua interezza, sia
una cosa presente. Certo, io ho il godimento presente e questo esiste.
Ma dov'è il godimento futuro? Dov'è quello che avrò ad esempio tra un
anno? Lo posso toccare ed avere, ora?
Orbene,
la risposta negativa è evidente e, dal punto di vista giuridico, il
godimento appare come una cosa futura, come lo sono i frutti. La legge
(art. 820 c.c.) stabilisce infatti che "sono frutti civili quelli
che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento". In
pratica, vi è una perfetta simmetria tra la "cosa-futura-godimento"
e la "cosa-futura-frutto". Giorno per giorno procede il
godimento (cosa futura) e giorno per giorno nascono i corrispondenti
frutti civili (cose future) ossia i canoni delle locazioni, gli
interessi sui capitali, eccetera (artt. 820 e 821 c.c.).
Il
godimento è un bene futuro anche dal punto di vista operativo. Il
proprietario può infatti disporre che il godimento sia trasferito ad un
terzo per un dato anno ed ad un altro
soggetto
l'anno successivo (costituzione di usufrutto, locazione, comodato,
vendita di beni futuri). Proprio questa possibilità di trasferimento a
vari soggetti in tempi diversi dimostra la classificazione del godimento
come bene futuro. Esso può essere ripetuto e trasferito a più soggetti
in ragione del tempo. Lo stesso godimento è anche distinto dalla
"cosa madre". Essa fa sempre capo al proprietario, mentre il
godimento può trasferirsi in più soggetti in modo frazionato ed in
tempi diversi.
In
verità, sul "godimento" inteso come bene futuro non esistono
molti scritti né in dottrina, né in giurisprudenza. Quel poco che si
può ritrovare sembrerebbe comunque confortare la tesi che qui si
sostiene.
In
verità, il Martel afferma come il godimento e l'uso della cosa siano
entità assimilabili al frutto civile.
L'insigne
autore così si esprime nel passo citato:
"Determinato
dal lato positivo il concetto di frutti naturali e civili, gioverà per
meglio "porne in rilievo i caratteri, accennare brevemente ad
alcuni istituti che presentano "qualche elemento di somiglianza coi
frutti, e cioè i prodotti, i proventi ed i vantaggi "dell'uso o
utilità.
Poco
più avanti, l'insigne studioso così prosegue:
"Infine,
distinti dai proventi sono i vantaggi dell'uso di una cosa (per esempio,
di un "edificio di propria abitazione). Anche questi utili hanno
importanza giuridica in quanto "non solo entrano nel contenuto dei
vari diritti come facoltà d'uso, ma la legge tien conto "di questa
utilizzazione, quando è indebitamente ottenuta, nel contenuto
dell'obbligo di "restituzione e risarcimento del possessore di mala
fede.
In
conclusione, il godimento di una data cosa, il suo uso concreto, ed il
suo sfruttamento pratico, sono per ogni effetto giuridico un "bene
futuro".
Il
godimento è dunque un frutto, come lo sono i prodotti della terra, gli
interessi dei capitali, i canoni delle locazioni, eccetera. Come vedremo
tra breve, la cosa non Š priva di effetti giuridici nel campo del
leasing.
3)
La vendita di
beni futuri
Orbene,
dei beni futuri si può disporre, perché questi beni possono formare
oggetto di contratto ai sensi dell'art. 1348 c.c. ed in particolare,
potranno formare oggetto di donazione e di vendita, secondo le modalità
stabilite dal legislatore agli artt. 771 e 1472 c.c. In pratica, pur non
essendo ancora esistenti, i beni futuri vengono considerati da parte
dell'ordinamento giuridico come attuali e "disponibili".
Ciò
premesso, vista la disponibilità dei frutti e dei beni futuri e la loro
tutela da parte della legge, il potere di disporre dei beni futuri può
essere definito come "diritto al profitto", ossia come
"il diritto di godere e di disporre, secondo un ordine oggettivo,
dei beni futuri non ancora venuti ad esistenza e di ottenere dai terzi
un comportamento di rispetto quanto ai beni medesimi".
Quest'ordine
d'idee è già stato in parte formulato. La giurisprudenza ha assegnato
al compratore di beni futuri uno "jus ad habendam rem", La
giurisprudenza ha infatti individuato la necessità di qualificare la
posizione giuridica del compratore di beni futuri come quella
corrispondente ad un diritto soggettivo. Essa ha inoltre rinvenuto
l'esigenza di riferirla alla cosa futura. Peraltro, non essendo questa
ancora venuta ad esistenza, ha dovuto qualificare questa posizione
giuridica in modo diverso dal diritto di proprietà e l'ha definita con
la formula sopra ricordata e, cioè, come "jus ad habendam rem".
Vi
è infine un'altra osservazione che riguarda la vendita di cosa futura
che abbia ad oggetto un'utilità generata dal diritto di proprietà.
Da
un punto di vista classificatorio si potrebbe dire che il negozio di
vendita di beni futuri, in campo obbligatorio, sia speculare e
simmetrico al negozio di costituzione di usufrutto, nel campo dei
diritti reali.
In
pratica, tanto il compratore di cose future, quanto l'usufruttuario,
sono titolari dello "jus ad habendam rem". Il primo, peraltro,
è titolare di un mero diritto di natura obbligatoria, mentre il secondo
sarà titolare di un diritto di usufrutto di natura reale.
4)
Il leasing come vendita di beni futuri (vendita d'uso)
Come
si è detto, sono essenzialmente quattro i negozi che trasferiscono dal
proprietario ad un terzo il godimento della cosa. Essi sono la
locazione, il comodato, il contratto costitutivo di usufrutto e la
vendita di cosa futura.
Nelle
pagine che precedono abbiamo escluso di definire il leasing come
contratto di locazione. Come si è visto, questa disciplina è
totalmente stravolta nel leasing, onde il richiamo alla locazione appare
da escludere.
Va
poi ricordato il contratto di comodato. Tale accordo è essenzialmente e
necessariamente gratuito, per cui non si accorda con la onerosità del
leasing.
La
qualificazione del leasing come usufrutto sarebbe possibile. Esistono,
peraltro, due ostacoli. L'usufrutto non può eccedere la vita
dell'usufruttuario e ciò contrasta con il leasing. Vi sono poi ostacoli
di natura letterale: le parti non dicono di voler costituire un
usufrutto.
Escludiamo
infine anche la vendita con riserva di proprietà, in quanto interamente
divergente dal leasing. Detto contratto (il primo) è diretto al
trasferimento della proprietà, mentre il leasing è diretto al
trasferimento del solo godimento.
Ciò
premesso, se si concorda con tali "esclusioni" rimane solo un
negozio a nostra disposizione. C'è un diverso contratto che trasferisce
dal proprietario ad un terzo il potere di godere della cosa. Questo
accordo è la vendita di cosa futura.
In
sintesi, anche il contratto di leasing appare come una ipotesi di
vendita di beni futuri. In esso, infatti, un soggetto (società di
leasing) cede ad un altro soggetto (utilizzatore) l'intero godimento
della cosa ed i diritti e i doveri nascenti dal godimento della cosa
stessa. Si tratta in pratica di una "vendita d'uso".
Come
si è visto, il godimento di un dato bene è per ogni effetto una cosa
futura. Su tale base, il contratto che si limiti a trasferire dal
proprietario ad un terzo il solo godimento della cosa (trattenendo per sé
la titolarità del diritto di proprietà) ben può essere definito
vendita di cosa futura.
Per
avversare questa tesi, che individua nel leasing un contratto di vendita
di beni futuri, si potrebbe ricordare un evidente ostacolo.
L'utilizzatore ha la detenzione e la custodia
della
cosa madre, che appartiene invece al proprietario. E questo fatto
urterebbe con la natura della vendita di beni futuri, dove questa
custodia non esiste, di norma.
Senonché,
questo rilievo non vale ad escludere la tesi in esame poiché la
presenza di un elemento ulteriore rispetto ad un normale tipo negoziale
non può portare a negare la sua
qualificazione.
A parte questo rilievo, non bisogna dimenticare che sono numerosi i
contratti-tipici a cui si associa il negozio di custodia. Questi stessi
contratti non perdono perciò solo la loro qualità originaria.
Il
lavoratore subordinato riceve quasi sempre in custodia dei beni di
proprietà del datore di lavoro, ma questo solo fatto non trasforma il
contratto originario. Il lavoratore subordinato rimane tale e non
diventa depositario, né il contratto di lavoro si trasforma in
contratto di deposito.
Lo
stesso avviene nel contratto d'opera. Il lavoratore autonomo riceve beni
e documenti dal committente, ma il rapporto originario non si trasforma.
Agli obblighi originari se ne aggiungerà uno nuovo, consistente nella
custodia dei beni ricevuti.
Non
diversamente accade nel contratto di leasing. Questo contratto concreta
essenzialmente una vendita di beni futuri (vendita del godimento della
cosa madre) e la custodia della cosa diventa un fatto accessorio, che
non sposta la natura del negozio originario. Anzi, si può dire che la
detenzione della cosa sia un fatto naturale nell'ambito della vendita
dei beni futuri.
Per
raccogliere i frutti naturali, una volta che questi siano maturati, il
compratore di cosa futura dovrà occupare la cosa madre per eseguire le
operazioni di raccolta. Lo stesso avverrà per la cessione dei frutti
civili. Il godimento di questi beni presuppone la detenzione della cosa
madre nella forma di un bene o di una somma di denaro.
La
conclusione è dunque la seguente. Il negozio di leasing può integrare
un contratto di vendita di beni futuri cui si associa, come fatto logico
e naturale, per la stessa vita del negozio, la custodia (e la gestione)
della cosa madre.
A
questo punto si è osservato che, dall'entità dei canoni, si potrebbe
stabilire se si tratti effettivamente di un leasing o se, invece,
ricorra la vendita a rate del bene.
Senonché,
i contraenti non stipulano alcuna "vendita a rate" della cosa
in sé e, allora, perché imporre loro questo tipo di contratto? Certo,
lo si potrebbe fare se ricorressero i presupposti della simulazione. Ma
in assenza di una rigorosa prova non parrà esatto modificare il
contratto originariamente indicato.
Si
è ancora obiettato che, quando il canone è molto alto,
"assomiglia" ad una rata di un prezzo di vendita ed, in realtà,
ci si troverebbe nella vendita a rate (o in un contratto atipico, cui
sono applicabili le norme sulla vendita a rate) e non invece in un
contratto di leasing.
Senonché,
non pare giusto entrare nel merito del prezzo stabilito dalle parti, né
pare esatto sindacare i corrispettivi voluti e definiti dalle stesse.
Semmai, in questo campo verrà in considerazione l'azione di rescissione
per lesione o, ancora, l'azione di simulazione. Ma al di fuori di ciò,
non vi sarebbe titolo per sindacare il prezzo liberamente adottato dalle
parti.
Neppure
si può paragonare il canone del leasing ad un canone di locazione,
giungendo a dire che esso è "troppo alto". In verità, il
canone del leasing è il saldo della totalità del godimento che è
stato trasferito. Quest'entità di godimento comprende sì l'uso della
cosa, ma prevede anche la possibilità di divenire proprietari
attraverso il meccanismo dell'opzione. In pratica, all'utilizzatore è
attribuita una facoltà enorme. Una facoltà che, pur essendo distinta
dal diritto di proprietà, è comunque molto penetrante.
A
questo riguardo si può ancora obiettare che il prezzo dell'opzione è
di solito bassissimo.
Senonché,
la possibilità di avere "quell'opzione" e "quel
godimento" è costituita e raggiunta, non a caso, ma attraverso la
definizione di un certo corrispettivo, ossia attraverso la definizione
del canone. Quel canone Š forse alto, ma lo è proprio perché
trasferisce poteri particolarissimi.
In
pratica, le parti non si dicono "ti vendo un bene a rate".
Neppure si dicono: "ti do questo bene in locazione". Al
contrario, si dicono: "ti dò questo bene in uso completo
(trattenendomi la sola nuda proprietà) ed, oltre a ciò, ti dò la
possibilità di divenire proprietario in un certo momento per un prezzo
molto buono". Tutto ciò - quindi - esula dallo schema della
vendita a rate.
Non
bisogna inoltre trascurare un fatto ulteriore. Il riconoscimento di un
diritto di opzione è normalmente oneroso. Se pertanto si vuole
dissertare sulla "sovradimensione" del canone di leasing e
sulla "sottodimensione" del prezzo di esercizio del diritto di
opzione, potremo farlo, tenendo presente che questi argomenti non
portano necessariamente alla "scelta obbligata" della
qualificazione del contratto come vendita con riserva di proprietà.
Bisogna infatti riconoscere che esiste una ulteriore interpretazione
logica, secondo la quale il "canone alto" è il corrispettivo
del "diritto d'opzione basso". In pratica, con il "canone
alto" si compra l'opzione e non il diritto di proprietà, onde si
è al di fuori della vendita a rate e semmai si è nel campo della
vendita d'opzione.
D'altra
parte, se si considera il dato letterale e la manifestazione della
volontà della parti, questa seconda ipotesi ci pare più naturale. Ci
pare più naturale che le parti abbiano acquistato il diritto d'opzione,
piuttosto che le parti abbiano acquistato il diritto di proprietà. La
prima ipotesi trova riscontri "in facta et in verbis" , mentre
la seconda è frutto di una complessa elaborazione in netto contrasto
con quanto dichiarato dai contraenti.
A
questo punto appare evidente come il canone di leasing sia del tutto
svincolato sia dalla vendita, che dalla locazione. Esso appare invece
rapportato all'importanza della cessione in esame, cessione che vede un
intenso godimento della cosa e che correlativamente, vede la riduzione,
lo svilimento, del concedente al ruolo di nudo proprietario. Avviene in
pratica - in campo obbligatorio - quello che avverrebbe nel campo del
diritto reale di godimento, quando si costituisce l'usufrutto.
In
pratica con il leasing le parti - utilizzando il principio
dell'elasticità del dominio - attuano una spartizione delle utilità
facenti capo al bene oggetto di contratto.
E
precisamente:
a)
al proprietario è attribuita la sola nuda proprietà;
b)
all'utilizzatore è attribuito l'intero godimento della cosa con tutti i
diritti ed oneri conseguenti.
In
verità, questo schema dell'operazione rimane inalterato, e si realizzerà
sempre con la separazione tra godimento e proprietà, a prescindere dai
corrispettivi previsti dalle parti.
Si
deve infatti riconoscere che la struttura del negozio di leasing
(separazione tra proprietà ed uso) è sempre la stessa, tanto in
presenza di corrispettivo definito "a", quanto per il
corrispettivo definito "b", oppure "c",
"d", "e", "f", eccetera. In tutti questi
casi muterà certo il valore del corrispettivo ma non quello della
struttura.
Ciò
posto, il variare del corrispettivo ci farà forse ritenere la presenza
del "negotium mixtum cum donatione" (se è troppo basso)
oppure ci farà rilevare la presenza degli estremi della rescissione (se
è troppo alto), ma - in ogni caso - qualsiasi discussione resterà
esclusa dal tema strutturale, essere relegata al mero tema del
corrispettivo.
Su
tale premessa, il leasing può apparire come un contratto di vendita di
beni futuri. Più concretamente, può essere definito come "vendita
d'uso". Più precisamente, ecco un'ipotesi: "Il leasing è il
contratto con cui una parte (proprietario) trasferisce all'altra
"(utilizzatore) l'intero godimento di una cosa (frequentemente
scelta dallo stesso "utilizzatore), con ogni facoltà di gestione,
con ogni rischio inerente alla qualità della "cosa stessa e con
diritto d'opzione d'acquisto, verso l'obbligo di custodia e di
"manutenzione e verso un canone periodico.
Quanto
al canone pagato dall'utilizzatore al proprietario, si può osservare
quanto segue.
Ed
invero, questo canone non appare come una rata di un prezzo di vendita
del bene, ma appare come il corrispettivo del godimento della cosa (artt.
820-821 c.c.). Detto canone, pertanto, appare come un frutto civile in
accordo all'esatta definizione dettata dal terzo comma dell'articolo 820
c.c. Secondo questo articolo, difatti, "sono frutti civili quelli
che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri
ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le
rendite vitalizie ed ogni altra utilità, il corrispettivo delle
locazioni" (* da "Codice Commentato del leasing", Pirola,
1992, di Amedeo Nigra).
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